A tu per tu con Valeria Ancione, giornalista e autrice Mondadori

Agente Letterario | Editing e Promozione Libri Inediti | Francesca Costantino

Ho conosciuto Valeria Ancione, giornalista sportiva e autrice Mondadori, grazie alla mia agenzia letteraria. Aveva un bel romanzo per le mani e voleva cambiare genere. Poi, ha riversato la sua passione per la scrittura e il calcio nel volume “Volevo essere Maradona” (Mondadori 2019), la storia di Patrizia Panico, campionessa del calcio nostrano al femminile.

Parleremo con Valeria LIVE, su questa pagina Agente letterario, il prossimo 30 giugno alle ore 14:00, vi aspettiamo con le vostre domande e curiosità. Nel frattempo, ecco una sua presentazione e una bella intervista che ci ha rilasciato.

Sono una migrante. Nata a Palermo, ma cresciuta a Messina, la mia città è questa. Ho giocato a basket, non ero una potenza, ma ero il capitano. La squadra era tutto. Ho studiato al Liceo classico e agli esami di maturità ho preso 3 allo scritto di Italiano. Poi, Scienze politiche indirizzo internazionale, non sapendo cosa volessi fare. Mille cose in realtà, per non “confessare” che volevo fare la scrittrice. La scrittrice? Che mestiere è? Allora ho pensato al giornalismo, il surrogato. Dopo la laurea, sono venuta a Roma per un master in giornalismo alla Luiss. Quando si assegnavano gli stage, tutti snobbavano il Corriere dello Sport, era inteso come un giornalismo di serie B. Chiesi di andare lì e ci sono rimasta. Era il 1991. Intanto, ho fatto tre figli. Due maschi e una femmina. Ora hanno quasi 23 (quasi), 21 e 18 anni. Sono tre meravigliosi ragazzi.

Nel 2010, è morto mio padre e, dentro di me, qualcosa si è rotto o interrotto. Ho ricominciato da quello che non avevo avuto il coraggio di dirgli che volevo fare: scrivere. Così, ho finito il mio primo romanzo La dittatura dell’inverno. Nel 2019 ho pubblicato Volevo essere Maradona. L’anno prossimo uscirà il mio secondo romanzo di narrativa. Ricomincio da una casa editrice indipendente sarda, Arkadia. Al Corriere mi sono occupata di calcio femminile, ho fatto con le calciatrici una battaglia per il rispetto e contro la discriminazione, che mi ha molto gratificata.

Ho una casa al mare, a Messina ovviamente, dove vado d’estate e ogni volta che posso. La amo molto, sia la casa sia Messina, di un amore nostalgico e struggente, ai limiti della noia per chi mi sente parlare di Sicilia. Il ritorno alla terra è il mio obiettivo. Amo moltissimo Roma e anche ormai la odio, come odiavo Messina, e da cui fuggirei domani. Ma resta la città più bella del mondo. Perdermi per le strade camminando a piedi mi piace da morire. Roma mi commuove, il primo romanzo è ambientato qui, questa è la mia seconda città, la mia seconda vita, ma non credo che sarà la terza, se mi è concessa.

Ascolto la radio e gli audiolibri. Il mio film preferito è Via col vento, il libro non saprei, ce ne sono tanti. Leggo abbastanza, ma non troppo perché sono lenta. Adoro Marcela Serrano, scrittrice delle donne, e io nel mio piccolo questo faccio, racconto le donne. Le mie muse. Vorrei essere amica di Pennac e aver conosciuto Roth. Per citarne alcuni. Al cinema, non manco di vedere i film di Sorrentino, che adoro. Anche i suoi libri mi piacciono. E non mi perdo gli spettacoli di Bergonzoni a teatro. Il mio attore preferito è Toni Servillo. Cucino troppo e mi sono stufata, ma poi cucino lo stesso. Ah, ho 55 anni, sto sempre a dieta e toglietemi tutto, ma non il mare.

Buongiorno Valeria, benvenuta. Parlaci un po’ di te, so che lavori in editoria da una vita…

Avevo 25 anni quando sono entrata al Corriere dello Sport. L’anno prima avevo fatto un’esperienza al Messaggero Veneto di Udine. Non era il giornalismo sportivo il mio obiettivo, è stato un caso. Volevo scrivere e non aveva importanza dove. È stato difficile, perché è un giornale tecnico che richiede tante competenze, la scrittura non è la prima. Mi sono reinventata e, se sono ancora qui, evidentemente ci sono riuscita.

Com’è stato il passaggio dallo sport e giornalismo, alla narrativa e al mondo dei libri?

È stato un passaggio naturale. In fin dei conti nella vita, oltre a voler giocare a basket nonostante il fisico inadatto, volevo scrivere. Ho iniziato mille cose e non ne ho finita nessuna. Poi succede qualcosa più grande di te, che ti mette davanti al bivio e ti fa fare i conti con te stessa. Gli interrogativi sono iniziati con la morte di mio padre. La morte di una persona così fondamentale ti mette a nudo, senza difese, e si deve trovare il modo per ricominciare una vita senza, quindi nuova.

Avevo portato a compimento progetti importanti come la famiglia e il lavoro, ma c’era un sospeso che andava risolto. Così, mi sono messa a scrivere un romanzo, con l’intento unico di finirlo. E ce l’ho fatta. Era il segno che, al punto, ero andata a capo.

Dalla narrativa per adulti (La dittatura dell’inverno, Mondadori), sei passata a un racconto per bambini, sempre ispirato al mondo del calcio femminile: Volevo essere Maradona (storia di Patrizia Panico), Mondadori. Come ti ha accolto il nuovo pubblico?

La dittatura dell’inverno ha segnato la svolta. Ora sì ero tutto quello che volevo essere, senza sospensioni. Poi è venuto Volevo essere Maradona, una biografia romanzata di una grandissima calciatrice. Il calcio femminile è il mio mestiere al Corriere dello Sport, ho battagliato per la visibilità e la credibilità. E il romanzo su Patrizia mi ha fatto mettere nero su bianco sia la mia esperienza lavorativa, sia una storia che merita di essere ricordata. È stata un’esperienza bellissima, perché ho incontrato ragazzi nelle scuole con cui abbiamo parlato non di calcio, ma di determinazione a credere nei sogni anche impossibili. Il messaggio del libro è questo. E oggi più che mai i ragazzi devono riprendere a sognare, credere nei loro talenti, sfidare anche la disapprovazione, combattere i pregiudizi e le discriminazioni. Questo è Volevo essere Maradona. In autunno diventerà Oscar e spero che si rilanci e torni nelle scuole, viaggio interrotto per colpa della pandemia. Perché è un libro che ha tanto da dire, ma soprattutto farsi dire. Quando incontro i ragazzi, capisco che sono tutti protagonisti del mio romanzo.

Hai qualche aneddoto da raccontare, sia come giornalista, sia come scrittrice?

Da giornalista, uno brutto: ai Mondiali femminili mi è stata tolta la cronaca di Italia-Brasile, e data a un uomo, perché visti i trascorsi di questa sfida al maschile, era roba da maschi. Stiamo ancora così, l’ambiente del calcio è fortemente maschilista. Da scrittrice, la cosa più bella da raccontare è quando Giulia Ichino, allora editor di Mondadori, mi ha telefonato per dirmi cose meravigliose su La dittatura dell’inverno. Tanto belle che ho pensato: “Va bene così, mi basta questo”. Mi sentivo dentro a un film. E poi, quando Giulia è venuta a casa mia e il contratto con Mondadori lo abbiamo firmato sul tavolo della mia cucina.

Per un autore che volesse iniziare la gavetta adesso, cosa consigli?

Trent’anni fa mi scoraggiavano a insistere sul mestiere di giornalista. Oggi lo farei anche io, poi mi ricordo di me e non mi permetterei mai di dire a un giovane di mollare. Il giornalismo è finito? Riparliamone quando sarà del tutto vero. Credo invece che ora più che mai i giornali abbiano bisogno dei giovani, dovrebbero svecchiare, anche se la situazione è tragica. Sono i giovani il nostro futuro e dovremmo metterglielo in mano e non deviare i loro sogni.

A un aspirante scrittore direi quasi la stessa cosa. Quando ho finito il primo romanzo mi sono sentita dire: “Ormai scrivono cani e porci”, brutto, eh… Io dico che anche qui c’è spazio per tutti, anche se le librerie traboccano di libri. Purtroppo, troppo spazio è occupato da chi ha un nome e non è facile farselo, nemmeno se la più grande casa editrice viene fino a casa tua a farti firmare. Non è facile emergere, ma bisogna fare le cose per gradi, dare credito alle piccole case editrici indipendenti, conquistare i librai, non sentirsi sconfitti se non si esce con le grandi o se non si vendono mille mila copie. Combattere la diffidenza. E certo avere anche un po’ di fortuna. Scrivere, per quanto mi riguarda, è un’esigenza e non si può farsi condizionare, o mollare, dai rifiuti. E non bisogna sentirsi inadeguati. Si può piacere e non piacere, non è il grande successo che ci determina, ma l’amore che mettiamo nelle cose. Siamo noi i primi a doverci riconoscere. I sogni, dico ai miei figli, non dicono bugie, hanno le gambe lunghe e portano lontano.

Grazie, Valeria. Ricordiamo che sarà LIVE con noi, sulla pagina Agente letterario, il prossimo 30 giugno alle ore 14:00. A presto!