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Sono sempre contenta quando, invece di chiudere… ahimè! Le librerie aprono. Oppure, si consolidano sul territorio, fuori dalle grandi città. In zone fuori dalle grandi aree abitative, è facile che il negozio di libri diventi centro di aggregazione, spazio eventi, luogo di contatto tra persone che amano la stessa cosa: la lettura di belle storie e di contenuti coinvolgenti.
E, dato che in Italia esiste un monopolio distributivo o quasi, che impone dunque a tutti di leggere le stesse cose, quelle favorite dal mercato di massa, allora iniziative come questa del Gruppo Editoriale Santelli riescono a promuovere la bibliodiversità e il pluralismo culturale.
Da giugno, Anagni (FR) avrà così il primo Santelli Point, presso la libreria indipendente “L’Angolo della Libraia” di Elisa Sordi. Il progetto segna l’inizio di una nuova rete culturale pensata per valorizzare l’editoria indipendente e rilanciare il ruolo delle librerie come spazi di pluralismo e confronto, che diventino anche luogo di aggregazione sociale e culturale.
«Siamo orgogliosi di inaugurare questa collaborazione con Elisa, interprete autentica del pensiero editoriale indipendente» – dichiara Giuseppe Santelli, Presidente del Gruppo Santelli. – «Il Santelli Point non è un franchising, ma un patto culturale: un’alleanza tra editori e librerie indipendenti per difendere la bibliodiversità e promuovere una visione dell’editoria pluralista, al di fuori delle logiche di omologazione. La libreria deve tornare a essere un presidio culturale, e il libraio una guida per la comunità dei lettori, non un semplice promotore dei libri del gruppo che rappresenta. “Librerie Santelli” nasce per dimostrare che un’editoria diversa è possibile, ed Elisa darà un contributo prezioso a questa visione.»

Un nuovo approccio nel mercato editoriale
Se, dunque, la contrazione di mercato è forte, con le grandi catene che riducono gli spazi dedicati ai marchi indipendenti e a condizioni insostenibili per piccoli e medi editori, «Attraverso i Santelli Point vogliamo offrire un’alternativa concreta: più spazi, più titoli, più autori. Non contro, ma insieme alle librerie già esistenti, promuovendo un ecosistema più inclusivo e orientato alla lettura», spiega Giuseppe Santelli
Le parole di Elisa Sordi, la nostra amica libraia di Anagni
«Con il mio piccolo contributo, desidero far capire a cittadini e lettori che una realtà diversa dal solito e che punti a favorire le piccole e medie realtà editoriali, così come gli autori indipendenti, può esistere» inizia fiera la giovane neo-libraia. «Essere un Santelli Point permetterà alla mia libreria di proporre alla comunità titoli di qualità che solitamente verrebbero ignorati a favore di altri considerati “migliori” solo perché appartenenti a grandi nomi. In una città in cui, comunque, una libreria mancava, ho sentito il bisogno non solo di regalare ai miei concittadini un posto in cui cultura e avanguardia potessero sposarsi in maniera gradevole ed efficiente, ma anche un luogo in cui tutte le figure del panorama editoriale possono coesistere in armonia, garantendo a ognuno il loro posto sullo scaffale, a prescindere da nome, grandezza o entità» conclude Elisa, fiera.
Ci auguriamo altre 100, 1000 iniziative così!
Mio figlio, in seconda elementare, sta studiando ora il Verbo Essere e il Verbo Avere. A parte che, ogni volta che apre le pagine del suo libro di Grammatica, io – CHE LAVORO NEL CAMPO DELLA SCRITTURA! – mi sento ignorante… perché, si sa, la nostra lingua è complessa, e usiamo automaticamente (più o meno bene!) le sue tante regole; quindi, ripeterle e ristudiarle di nuovo può fare “strano.
A parte, questo, che camuffo benissimo con mio figlio con un “Ah, certo, MA è OVVIO!” e un sorriso forzato stampato sulla faccia, mi sono ricordata di quanto il significato di questi due verbi-base della lingua italiana sia importante, sia a livello di regole di scrittura, sia – e qui casca l’asino! – a livello inconscio e di cosa comunicano al nostro cervello le parole magiche “Essere” e “Avere”.
Qualche pillola di grammatica
Il verbo Essere, ausiliario se usato con altre parole o con significato proprio se usato da solo, è INTRANSITIVO, ovvero non si appoggia su parole successive al verbo (complemento oggetto), ma è caratteristica del soggetto della frase, non esprime dunque un’azione, ma l’Essenza propria del soggetto. Quindi, se “Maria è alta e mangia una mela”, l’altezza è una caratteristica propria di Maria e non della mela che sta mangiando!
Il verbo Avere ha invece funzione TRANSITIVA, quando indica Possesso, perché richiede il complemento oggetto (“Mario ha un maglione blu”).
Già qui notiamo le prime differenze tra verbo Essere e verbo Avere: per Essere bisogna avere solo il Soggetto, in una frase; per Avere, bisogna considerare per forza qualcosa “altro da” questo soggetto, quindi il Complemento oggetto.
Essere o Non-Essere?
Questo è il problema (dall’inglese: To be, or not to be? That is the question, questa è la “domanda”), diceva il caro Amleto, nell’opera di Shakespeare. Se conosciamo tutti questo modo di dire, inteso come riflessione profonda – e, di fatto, senza risposta – di un personaggio tragico che, al culmine della sua storia, si chiede cosa fare della sua stessa esistenza, si può capire allora quanto il verbo “Essere” sia fondamentale, per l’essere umano. Già che il nostro genere antropologico contiene la parola “essere” è una riflessione importante: umano è colui o colei che “è”; anzi, direi colui o colei che è consapevole della sua identità profonda, del suo essere “altro da”. Se l’uomo – o la donna – sono privati della loro identità o essenza, alla lunga muoiono (purtroppo, questo accade ed è accaduto durante le peggiori forme di torture mai inflitte, e proprio da mano umana, o dis-umana, in questo caso).
Dall’altro lato, quando Amleto parla al teschio, quindi si rivolge alla “morte” in senso figurato, perché non sa cosa fare della sua vita, il verbo Essere non lo aiuta certo ad agire, a prendere una decisione. Il verbo Essere indica uno stato, quindi è essenzialmente fermo, statico e non comporta generare azioni e comportamenti che possano davvero “cambiare” la propria vita, nei momenti in cui per noi è difficile capire cosa fare.
La società dell’opulenza
Avere, possedere qualcosa. Sembra che, nella nostra società consumistica, di stampo capitalista, l’obiettivo più importante sia “AVERE”: soldi, donne (o uomini), fama, visibilità… fosse anche solo per quei famosi “15 minuti” di cui parlava Andy Warhol. Anzi, oggi questi minuti sono molti di meno, visto che attraverso i video social “virali” si può raggiungere anche tutto il mondo, con pochi secondi di contenuti.
“Avere” implica agire per ottenere l’oggetto, perché l’oggetto interagisca col soggetto, quindi implica movimento e cambiamento, il che ha certo un lato positivo. Il problema sta quando il nostro unico obiettivo di vita è AVERE, inteso come “possedere”. Anche perché, la scarica di dopamina che riceve il cervello quando ottiene – ad esempio – più soldi diventa presto assuefazione, tanto che i soldi stessi non bastano e non basteranno mai, se ne chiederanno sempre di più, in un processo infinito e che alla lunga porta una grandissima insoddisfazione.
Il tuo protagonista punta all’Essere o all’Avere?
Questa riflessione indica quanto sia importante, per uno scrittore o scrittrice, conoscere le sfumature delle parole e il loro significato profondo, come interpretazione della nostra bellissima lingua italiana.
Nella caratterizzazione dei propri personaggi, allora, iniziamo a pensare a quale verbo sia più importante per loro, tra Essere e Avere, così da dare una connotazione profonda a ogni singolo personaggio, fatta di un primo strato di valori, che li porteranno poi ad agire (o a scegliere di non-agire) nel corso della loro evoluzione all’interno della trama.
Quindi, amici scrittori, come sempre, buona scrittura e buona lettura, con un piccolo quesito-provocatorio: e tu, nella vita, cosa hai scelto di perseguire di più, cosa per te è più importante, tra l’Essere o l’Avere?
Questa è una delle domande che mi vengono fatte più spesso, infarcita da una serie di frasi fatte per “sentito dire” e da paure più o meno legittime, esternate dagli autori emergenti. Sì, perché un autore professionista non solo sa cos’è l’editing, ma anche a cosa serve l’editing e, soprattutto perché serve un editing del testo! Non solo, ma un autore professionista ricerca editor altrettanto professionisti e, magari, specializzati nel tipo di manoscritto che scrive, quindi ancora più attento e preciso per quello specifico genere letterario.
Quindi, amico o amica autore emergente, se vuoi entrare nel mondo dell’editoria, sai già che per prima cosa bisogna lavorare sul proprio testo con un editor professionista. Almeno, se si vuole scrivere e pubblicare sul serio, e non per gioco o per diletto.
Cos’è l’editing di un manoscritto?
Si tratta di una revisione completa, analitica del testo, per renderlo più chiaro e adatto al target dei lettori. Si lavora sul singolo rigo, sulla singola parola, sulla congruenza generale, sui dialoghi, sull’impostazione, sul ritmo e sull’intreccio. I parametri tecnici da osservare solo tanti e vanno molto più in profondità di una semplice correzione di bozza, che si ferma alla formalità della frase.
Quanti tipi di editing esistono?
- Correzione di bozza: il primo e più blando editing è noto come correzione di bozza; quindi, l’editor o il correttore di bozze si mette con santa pazienza a scovare tutti i refusi, le sviste, a controllare le date e i periodi storici dei fatti citati, a verificare che parti del manoscritto non siano state copiate, a correggere la grammatica. Serve? Certo, se l’autore è già certo che struttura, personaggi, intreccio, dialoghi, ritmo, trama e varie tecniche narrative siano già di ottimo livello; in caso di incertezze, beh, non basta di certo.
- Content editing: è un’analisi dei contenuti del manoscritto, della sua congruenza e altri parametri diffusi in editoria per il genere letterario scelto. In gergo, è meglio noto come valutazione tecnica . Serve? Sì, almeno l’autore sa dove sta sbagliando, perché, come rimediare e farlo al meglio. Ma gli errori grammaticali e di bozza e stilistici rimarranno sul testo.
- Editing strutturale o Line editing: si tratta di un’analisi completa del manoscritto, una revisione stilistica, ma anche tecnica e strutturale di tutto il testo, tanto che richiede almeno 2 se non anche 3 revisioni da parte dell’editor. Ricordo che l’editor non lavora da solo, ma a stretto contatto con l’autore che non verrà zittito, bensì servirà il suo apporto in quanto ideatore del progetto che l’editor sta correggendo. Serve? Certo! È l’unico modo in cui non solo si migliora radicalmente il proprio lavoro, ma si imparano anche nuovi modi di scrivere, nuove tecniche di scrittura e si superano i propri limiti di autore.
Posso fare editing da solo/a?
Mentirei se dicessi che non solo puoi, ma DEVI! Però, attenzione: la revisione del testo (una, due, tre volte…) dell’autore è necessaria e importante, purché si conoscano i propri limiti:
- Cecità: sì, scovare i propri errori è quasi impossibile, anche perché si conosce così bene il proprio manoscritto, ci si affeziona così tanto alle proprie parole che si glissa sui problemi.
- Soggettività: un parente o un amico che legge quello che abbiamo scritto può avere paura di ferirci, o essere troppo entusiasta solo perché ci vuole bene. Ma che ne sa di un pubblico di sconosciuti, degli editori, dei meccanismi di questo settore?
- Manca una visione d’insieme: l’autore si concentra sulle belle parole, ma è carente in originalità; oppure è molto originale, ma fa molti errori di scrittura; pensa di aver scritto la “storia del secolo”, ma non conosce il mercato editoriale e non sa che quella storia già è stata pubblicata (almeno nell’idea di base).
- Scarsa esperienza editoriale: l’autore non conosce il mercato, non sa come rivolgersi agli editori, non conosce bene il suo pubblico di riferimento.
Quindi, un editor professionista fa la differenza?
Assolutamente sì! E per vari motivi:
- Competenza tecnica: gli editor conoscono le regole più diffuse di scrittura, di svariati generi letterari e sanno applicarli secondo tecniche ben specifiche, senza stravolgere il testo, ma esaltandone gli aspetti migliori.
- Analisi approfondita: un professionista conosce le varie stratificazioni di un testo e sa correggerle in contemporanea, di solito non gli sfugge nulla e va al sodo delle questioni tecniche. Se serve, usa l’accetta come un boscaiolo; oppure un bisturi di precisione come il più sensibile dei chirurghi.
- Esperienza: conosce il mercato, legge moltissimo, lavora tutti i giorni sui testi, parla con colleghi, agenti, editori, librai e si confronta spesso con loro.
- Lavora anche “di fino”: se il testo in generale funziona bene, l’editor è comunque utile per migliorare il proprio stile, conoscere le “dritte” del mestiere e far crescere l’autore.
Per ulteriori approfondimenti, rimando anche ai 10 punti che ho trattato in questo articolo sul mio blog.
Buona lettura e, come sempre, buona scrittura!
Buongiorno amici autori e colleghi editori! Questa è una domanda che mi fanno sempre gli autori che mi contattano tramite il mio sito web e la mia piattaforma social preferita, Instagram.
Della questione mi sono già occupata in questo blog e in varie conferenze dal vivo e online. Voglio però tornare di nuovo sull’argomento, visto che per ogni colloquio che faccio, le questioni che ponete, amici autori, sono sempre le stesse.
L’importanza dell’autore
Noi Agenti letterari e noi Editori riceviamo moltissimi – troppi – manoscritti; dato che abbiamo poco tempo a disposizione per valutarli tutti, nonostante i nostri fidati collaboratori, abbiamo delle tecniche veloci per selezionare il materiale più interessante e scartare invece il resto. Per prima cosa, infatti, leggiamo la biografia dell’autore; quindi, vi prego di scriverla in modo analitico e preciso, senza esagerare in lunghezza.
Mi aspetto che l’autore sia in grado di spiegarmi cosa fa di mestiere, cosa fa in generale nella vita a livello famigliare – senza entrare in troppi dettagli di privacy – e che indichi quali siano i suoi hobby e interessi. Per esempio, nella vita il vostro lavoro può essere monotono e tutto il giorno avete a che fare solo con computer, numeri, dati… oppure lavorate fisicamente nelle case e il contatto con il pubblico scarseggia. Eppure, nonostante questo, avete un animo creativo tant’è che avete deciso di scrivere e questa vostra parte creativa si esprime al di fuori del lavoro con una serie di hobby e interessi: sport; associazioni; volontariato; insegnamento; animazione ecc. sono tutte attività che implicano un contatto con gli altri, da parte dell’autore che si presenta in agenzia.
D’altro canto, se l’autore non ama – per motivi che non è mio interesse conoscere – di stare a contatto con il pubblico, mi aspetto che sappia invece usare bene i social network per creare un alto engagement, che abbia creato un suo “avatar” che, al posto suo, sappia interagire almeno a livello virtuale: più la persona (o il suo avatar) sono conosciuti, più è facile che il libro pubblicato, in futuro, venderà e avrà un pubblico già consolidato.
Quanto contano la trama e “l’idea”?
La domanda che ogni autore dovrebbe sempre farsi, dopo aver concluso il proprio manoscritto, è questa: vale davvero la pena pubblicare la mia storia.
Quindi, dopo che avete risposto prima a voi stessi, bisogna poi saper scrivere la sinossi. Ricordo che la sinossi è sì il riassunto della trama, ma che contenga davvero TUTTA la trama, quindi anche il finale. Questo perché a leggerla saranno professionisti e tecnici dell’editoria, non vi state dunque ancora rivolgendo al lettore finale. Se avete scritto un giallo, allora, sarà importante che voi mi diciate chi è l’assassino e il suo movente; se siete autori di un fantasy, elencate le vostre fonti di ispirazione e create una scheda almeno dei personaggi principali. Per ogni genere letterario esistono delle caratteristiche tecniche, anche di trama e di contenuti; quindi, fatemi capire che voi conoscete così bene il genere che avete scelto, che sapete convincermi del perché è importante che io pubblichi o rappresenti proprio il vostro romanzo.
La valutazione commerciale: il mercato editoriale
Amici autori, mi duole dirvelo ma… il mercato editoriale è saturo! Con oltre 80.000 novità pubblicate all’anno, perché un editore – o un agente letterario – dovrebbe “credere in voi” e investire tempo e denaro sul vostro manoscritto? Qui, trovate la mia risposta a questa domanda, cosa farei io se fossi in voi.
La valutazione tecnica di agenzia è un servizio a pagamento perché è lungo, dettagliato, richiede conoscenze di scrittura e anche di tipo commerciale. La scheda tecnica che riceverete è di svariate pagine, dove ci sono sia le caratteristiche tecniche del manoscritto, sia gli errori e le possibili soluzioni pratiche; risponde, per la maggior parte, a queste domande: la sintassi la grammatica sono rispettate? L’ambientazione è congruente, oppure usa bene il periodo storico scelto? La trama, quanto è originale, attuale e richiesta dal mercato? Com’è costruito l’intreccio e come si può migliorare? I dialoghi: sono realistici o vanno riscritti e come? Le descrizioni funzionano, sono troppo lente e, quindi, il ritmo del testo non funziona? I punti di vista: il passaggio dall’uno all’altro è a singhiozzo o poco chiaro? Quali sono i libri consigliati da studiare per imparare a scrivere meglio?
Alla fine di questa analisi, troverete le impressioni generali, se il romanzo può essere pubblicato allo stato attuale, o se ha invece bisogno di correzioni. La valutazione si chiude poi con l’analisi commerciale di mercato: questo tipo di libro, oggi e sulla base delle statistiche diffuse ogni anno, quanto potrebbe vendere e quali editori potrebbe interessare?
Perché pagare una valutazione tecnica
Il servizio di valutazione è fondamentale per imparare a scrivere meglio, perché riceverete consigli pratici che, da soli, potrete poi mettere in pratica, senza ulteriori spese: non farete più gli stessi errori, conoscerete i metodi per correggervi e per scrivere meglio. La valutazione commerciale vi aiuterà poi a entrare in un mercato molto vasto e in continuo cambiamento, che pochissimi autori emergenti conoscono davvero: la consapevolezza di conoscere questo aspetto, almeno per quanto riguarda il genere che amate scrivere, vi farà riflettere su come muovervi al meglio, per la promozione successiva del vostro libro.
Pensate anche che è l’unico modo in cui potrete convincere un agente letterario a rappresentare poi la vostra opera; se è vero che si vende solo ciò che ci piace davvero, allora l’agente deve essere il vostro primo fan e, se non legge il manoscritto, se non vi conosce come persona, come può davvero trarre il meglio, lavorando insieme a voi?
Pensateci e, per chi volesse prenotare la propria valutazione tecnica, scrivetemi.
Buongiorno, amici autori e colleghi editori!
Oggi, parliamo di “editing”, una parola che fa ‘orrore’ a molti autori emergenti, perché ‘non sia mai che qualcuno tocchi il mio romanzo!’, dicono. In realtà, un editing ben fatto consente di innalzare la tecnica, di affinare le pennellate e la bellezza di un testo che, diciamolo, deve comunque avere della qualità di base, altrimenti nessun editor potrà salvarlo.
La differenza tra ‘content editing’ e ‘line editing’
L’editing sui contenuti (content) è di fatto la valutazione tecnica, quindi un’analisi solo sui contenuti del manoscritto, sulla congruenza, sullo stile, sui dialoghi e personaggli; la valutazione è anche commerciale, quindi di posizionamento sul mercato. Tuttavia, è un servizio parziale, in quanto l’editor non correggerà nessun errore tecnico, grammaticale o stilistico: ogni singolo errore, dunque, resterà immancabilmente lì dov’è. Certo, un autore “scafato”, grazie alla valutazione tecnica riconoscerà i suoi errori e saprà correggerli, tuttavia farlo da soli, per uno scrittore alle prime armi, può essere molto difficile.
L’editing rigo per rigo (line) è invece la correzione vera e propria, con commenti, testo evidenziato in giallo, sottolineature in rosso, come facevano le maestre a scuola. In questo caso, ogni errore viene sottolineato, spiegato nei commenti e corretto dall’editor, che spesso dà anche dei suggerimenti pratici, parola per parola. Questo lavoro è anche sullo stile, sui personaggi e dialoghi, sulla congruenza: se c’è da “uccidere” un personaggio, l’editor lo fa e lo spiega; se c’è da spostare o tagliare un capitolo, l’editor lo fa e motiva questa scelta.
Ma, torniamo a noi… in questo articolo, dirò la mia sia nei confronti degli editori sia nei confronti degli autori. Ecco, dunque, a voi: “Sputo fatti sull’editing!”.
1. Nessun editor ha sempre ragione
‘Editare è divino’, diceva Stephen King, perché è un lavoro complesso, ma è anche soggettivo e prevede una sorta di sensibilità o ‘fiuto’ che, per forza di cose, è umano. Quindi, se avete dei dubbi su una correzione che vi ha fatto l’editor, confrontatevi e capite insieme se si può fare ancora meglio: talvolta, due teste sono meglio di una!
2. Spesso, quello che l’autore vuole comunicare è diverso da quello che viene percepito
Se l’editor o il lettore non capiscono le tue intenzioni, non è perché sono ‘brutti e cattivi’ o ‘non capiscono niente’; ci sono mille modi per scrivere lo stesso concetto, esercitati a riscrivere, affinché quello che pensi sia effettivamente capito da più lettori possibile. Per questo, consiglio di far leggere il proprio manoscritto anche ad amici e parenti, i cosiddetti “beta reader”, prima di proporlo a editor, agenti, editori.
3. Solo l’autore può sapere dove sta andando la sua storia, ed è bene lasciarglielo fare
Se lo stile di un autore è buono, talvolta anche unico, è inutile ‘omologarlo’ in un genere letterario specifico, in uno stile che va di moda; uno perché risulterebbe forzato, due perché è bene lasciare spazio alla personalità, quando questa è forte.
4. Avere una bella storia in testa, o una storia vera degna di essere raccontata non fa di nessuno uno scrittore professionista
L’idea e la storia sono il fulcro di qualunque bel libro, tuttavia saperlo scrivere bene, nei fatti, può essere molto complicato, soprattutto se si è alle prime armi; o ci si rivolge ad autori già abili, oppure ci si impegna a studiare scrittura creativa, per scrivere al meglio delle proprie possibilità.
5. Fare paragoni continui, talvolta esagerati, o abusare di avverbi e parole ampollose non vuol dire saper scrivere bene
Anzi, molto spesso è proprio il contrario! Lessico e stile sono da usare in base al target di pubblico e al genere scelto: abusarne vuol dire non saper scrivere per quel target e nell’ambito di quel genere letterario.
6. Voler ‘vendere’ il proprio libro a tutti i costi o scrivere solo generi ‘commerciali’ non paga
È più fruttuoso scrivere con passione qualcosa che ci piace, perché dona un piacere più profondo in fase di scrittura e, durante eventi da vivo a contatto con il pubblico, è più facile appassionare i lettori.
7. La passione, quella vera e di pancia, si trasferisce
E questo vale sia per gli autori, sia per gli editor.
Avete altri fatti da ‘sputare’ sull’editing? Raccontatemi la vostra esperienza!
Buongiorno amici autori e colleghi scrittori! Voglio salutare il 2024 così, con questa bella esperienza che ho fatto, come giornalista e videogiocatrice, visitando per la prima volta il GAMM, il nuovo museo del videogioco di Roma, una volta VIGAMUS, che ora ha avuto un mega “upgrade” con la location esclusiva in pieno centro, zona piazza Esedra/Repubblica, in via delle Terme di Diocleziano.
E, forse, non è un caso che si trovi proprio nell’Esedra delle vecchie terme romane, che erano un luogo di svago per eccellenza, durante i fasti di Roma. Per quanto riguarda me, da buona giocatrice e videogiocatrice, sono tornata un po’ bambina, giocando a quei giochi che è difficile recuperare, con completo accesso anche a quelli più evoluti, con il 3D, ad esempio; confesso comunque che la mia sala preferita rimane quella dei retrogame, i famosi “cabinati” anni ’70-’80.
Ma andiamo con ordine, perché il GAMM è sia svago e intrattenimento, ma anche e soprattutto una forma di valorizzazione del medium “Videogioco” che, ormai, è a tutti gli effetti considerato come un’opera d’arte, anzi un’opera multimediale interattiva.

Il videogioco, nuova forma culturale di espressione artistica
Dice, in merito, Marco Accordi Rickards, direttore e curatore GAMM: “Abbiamo scelto autori e artisti che non hanno nulla da invidiare agli altri. Il nuovo museo è suddiviso in tre aree, a partire dall’HIP historical playground, che unisce il materico col virtuale. Conserviamo 600 oggetti unici e ne acquisiremo altri, abbiamo ricostruito un percorso non più con pannelli, ma schermi interattivi; rappresentiamo i titoli più iconici e particolari per attivare emozioni e ricordi o curiosità alternati a contenuti di grande valore con interviste esclusive da tutto il mondo di protagonisti dei videogiochi. Nell’ultima area, abbiamo inserito postazioni console e computer games dando merito al lavoro dei professionisti più particolari e straordinari (game designer), veri protagonisti che ci fanno appassionare. Ormai, il contenuto culturale e artistico del videogioco è INNEGABILE e non dipende dal setting o ambientazione, ma dai meccanismi di design che formano il gameplay”.
In sostanza, il videogioco è unico e rivendica la sua storia e dignità tra i media, ora anche attraverso quello che è il museo dedicato più grande d’Europa, il GAMM di piazza della Repubblica a Roma, appunto.
GAMM: un luogo fisico di incontro e di network
Data la natura multimediale del videogioco, è bello sapere che ci sia uno spazio fisico, riconosciuto anche dalle istituzioni, e in zona così facilmente raggiungibile anche da turisti e da visitatori di ogni tipo, perché – così come nella scrittura e nella lettura – la cultura unisce sempre.
La cofondatrice di GAMM, Luisa Bixio, dice in merito: “Finalmente c’è un luogo fisico di rappresentanza, un punto di riferimento per famiglie, scuole, istituzioni. Il nostro mondo è bellissimo dall’esterno, ma non tutti conoscono la passione, l’arte e la professionalità che ci mettiamo. Il GAMM offre contenuti esclusivi e digitali, contributi di personaggi importantissimi internazionali, una collezione di oggetti unici e reperti e le pietre miliari del nostro mondo. Perché, per capire il vero valore del videogioco, deve essere provato per capirne il valore. E puntiamo anche a fare network di collaborazioni, grazie agli spazi offerti alle scuole e alle istituzioni, nella nuova sede del museo”.
Sulla stessa linea anche Raoul Carbone, cofondatore GAMM: “Dodici anni fa abbiamo aperto il primo e unico museo del videogioco in Italia, insieme al museo di Berlino. Poi ne sono anti altri in Finlandia, Russia, Inghilterra. Ci aspettiamo ora l’interessamento dalle istituzioni e siamo al servizio dei publisher sviluppatori, ponendoci come punto di riferimento culturale per vari settori”.
Fare cultura è anche interattività
Durante la conferenza stampa di presentazione del GAMM, erano presenti ospiti d’eccezione, quali ad esempio Don Daglow, storico nome del videogioco e fondatore di Intellivision. Per me è stato un onore incontrarlo, visto che alcuni dei suoi giochi hanno caratterizzato la mia infanzia: uno su tutti, Neverwinter Nights. A lui è stata dedicata la targa come primo membro della Hall of Fame del GAMM.
Interessanti anche gli interventi di Women in Games, perché in questo settore anche la presenza al femminile è in crescita.
Per chi volesse saperne di più, o volesse scrivere storie peri videogiochi, contattatemi pure e saprò indirizzarvi al meglio!
Nel frattempo, buona lettura, buona scrittura e… BUON ANNO NUOVO!
Francesca Costantino
Agente letterario ed editore, aiuto gli scrittori emergenti a realizzare il loro sogno di vedere pubblicato il proprio manoscritto.
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