Aspirante scrittore, hai mai pensato che, oltre alla bellezza di scrivere, alla meraviglia del trasporre su carta le tue idee, al suono che ti suscita mille emozioni nel leggere ad alta voce le tue parole, all’idea folgorante che ti è venuta in mente proprio in quel momento lì, mentre stavi facendo quella cosa all’apparenza non importante… insomma, oltre a tutto ciò che è la bellezza di scrivere il TUO romanzo, quel che stai producendo su carta (su schermo!) è anche e soprattutto un PRODOTTO?

Per prodotto, intendo un mezzo per l’editore in primis (ma anche per te, autore) per ricavare un profitto. Nel marketing, un bene o prodotto è un oggetto o servizio che soddisfa i bisogni dei consumatori. Lo so, quel che sto dicendo non è più così “romantico”, vero? Bene, amico o amica aspirante scrittore (scrittrice), se leggendo hai moti di rifiuto, allora cambia subito pagina e non leggere oltre. Perché è anche giusto che tu continui col tuo sogno di artista delle parole. Se invece, hai intuito anche tu che questo settore (l’editoria) è un settore economico come un altro, nel momento in cui contatti un agente letterario, un editore e chiedi (perché la tua è una richiesta legittima) che i tuoi lavori vengano pubblicati e adeguatamente retribuiti, allora bisogna che apri i tuoi occhi e orecchie e leggi con attenzione quest’articolo. Perché sì, hai capito che il tuo libro nel cassetto, quello su cui hai sudato tanto, ora va commercializzato, venduto al giusto target, col giusto piano di marketing e il packaging che più richiede il pubblico di riferimento. Questo è senz’altro lavoro dell’editore, ma tu autore in erba puoi fare molto ancora PRIMA di scrivere.

Intanto, puoi fare una ricerca di mercato, capire come entrare nel mercato che hai studiato, infine come consolidarlo. Partiamo per gradi.

  • Ricerca di mercato: bisogna che tu conosca (STUDI!) i generi e i titoli pubblicati dagli editori con i quali cerchi di lavorare, e tu legga i libri che ha prodotto. Non è una marchetta, anche perché l’editore non ha solo te come cliente, ci mancherebbe. Ma serve a te per CONOSCERE il catalogo e capire dove vuole arrivare la casa editrice che tanto ami. Poi, a quale tipo di pubblico è diretto il tuo romanzo? Questo pubblico cosa fa, dove si trova e quale abitudini ha? L’analisi non è facile, ma oggi tutti siamo connessi, e con un po’ di pazienza di può arrivare a farsi un’idea del proprio target.
  • Entriamo nel mercato editoriale: fate PR, relazioni pubbliche. Partecipate a fiere, presentazioni, eventi, premi letterari. Conoscete personaggi del settore editoriale e parlate con loro, fatevi dire quali sono i problemi e perché proprio il VOSTRO testo dovrebbe in parte risolverli. Lo so, non è da tutti, ma è un buon modo per farsi conoscere e capire dove sta andando l’attuale mercato.
  • Consolidare la presenza sul mercato: continuate ad aggiornarvi sul genere che più vi riesce meglio scrivere, leggendo gli autori competitor e conoscendo anche di persona (se possibile) gli editori che lo pubblicano, allargando così la cerchia di contatti professionali. Scrivete articoli su blog o riviste di settore, migliorate costantemente la vostra tecnica e continuate a frequentare fiere, eventi, festival di scrittura, puntando magari anche all’estero.

Il lavoro dello scrittore, dunque, non si ferma alla parola FINE sul proprio manoscritto, non basta saper revisionare il testo fino allo sfinimento. Ma è sempre più contatti, intessere relazioni, capacità di intuire dove sta andando il mercato, conoscere i propri lettori e anche, perché no, gli autori competitor. È faticoso e poco romantico, lo so, ma se azzeccate il libro giusto (per il mercato e per il target), gli editori vi daranno credito e saranno disposti a pagarvi meglio, a lavorare più spesso con voi e a gestire insieme un gruppo sempre più folto di lettori che vi chiederà la prossima novità in uscita.

Se tutto questo non fa per voi, potete sempre restare nel romanticismo della scrittura e rivolgervi a un agente letterario, che di mercato se ne intende! A voi la scelta e, come sempre, buona scrittura!

Per lavoro, sia come agente letterario sia come editore, leggo tutti i giorni manoscritti più o meno di qualità, di qualunque genere. Eppure, trovare un autore che sappia coinvolgere e mai stancare o glissare troppo sulle descrizioni non è facile. Lavorando soprattutto nel fantasy, dove la descrizione dettagliatissima di locande, armi, armature ecc. è ormai diventata un cliché, di rado mi stupisco dei manoscritti che leggo.

Mi stupisco in senso positivo, intendo.

Cosa vuol dire, innanzi tutto, descrivere? Vuol dire focalizzare, attirare l’attenzione del lettore su un oggetto, panorama, personaggio, situazione. Oppure, sviarla, come nel caso del thriller o giallo, ad esempio. Mi sembra che alle volte questo risulti difficile alla maggior parte degli autori emergenti, forse perché non conoscono bene cosa stanno descrivendo, ad esempio un luogo in cui non sono mai stati, o un’ambientazione che non hanno mai visto (ad esempio, una fabbrica o un convento di clausura). E qui, mio caro amico o amica autore/autrice, ti invito a farti un esame di coscienza: quanto hai studiato la tua ambientazione, quanto la conosci? Oggi, con il web, è più facile trovare video, blog o articoli che descrivano proprio quel che serve a te, nel tuo romanzo: sfrutta le possibilità della rete oppure, se è fattibile, visita quei luoghi e intervista le persone che vi abitano. Farà una grande differenza, in fase di stesura manoscritto.

Il rovescio della medaglia di questo eccesso di informazioni via internet è che il lettore ha visto, sentito e gustato di tutto, quindi non è facile improvvisare, mentre si descrive. E le descrizioni lunghe e dettagliate sono ormai obsolete.

Come ovviare a questo problema?

Mettendoci del nostro. Lo scrittore filtra la realtà, che lo faccia come narratore onniscente o personaggio immerso nella sua storia, darà un messaggio diverso di quel che vede, sente, gusta e tocca. È un modo per dare risalto a uno o più aspetti di un oggetto / ambiente / situazione ai quali il lettore non aveva mai fatto caso. E consente, se la descrizione è ben fatta, di costruire personaggi e ambientazioni realistiche, congruenti e piacevoli. 

Come autore che fa della descrizione un must, consiglio di leggere Raymond Carver, che è stato anche un grande insegnante di scrittura creativa: per lui, ogni aspetto della narrazione deve avere un senso logico. Studiarlo e leggerlo è, dunque, un modo per crescere di livello nella scrittura. Provare per credere!

ente casuale, ma che invece rispecchiavano delle esperienze di vita vissuta: si dice, infatti, che la scrittura abbia funzione catartica e, grazie anche al sostegno di un coach editor professionista, si possono riconoscere aspetti del proprio vissuto da esorcizzare scrivendo oppure, addirittura, da sottoporre a uno psicologo o psicoterapeuta. Il potere della parola e della scrittura è anche questo: a volte, risolve la vita di chi le usa.

Alla prossima e… buona lettura e buona scrittura a tutti!

Uno dei servizi più richiesti ad Agente Letterario è il coaching letterario, ovvero un accompagnamento di scrittura – a partire dal foglio bianco! – che l’autore o autrice riceve da parte di un editor professionista.

Si tratta, in pratica, di una serie di incontri a cadenza settimanale o bimestrale, dal vivo o tramite piattaforma web, nel quale l’editor sostiene la scrittura dell’autore o autrice. In genere, usufruiscono di questo servizio autori alle primissime armi, anche per acquisire tecniche di scrittura base, uno stile adatto al target scelto, un modo di esprimersi con la lingua scritta utile in ogni ambito della propria vita.

Si parte da un’idea, quella lampadina accesa che folgora dopo un sogno, durante la visione di un film o serie tv, dopo un’esperienza di vita vissuta, con un flashback o flashforward sulla propria vita (o vite passate/future). In sostanza, la folgorazione viene sempre da chi vuole scrivere.

Il primo incontro con l’editor serve per strutturare la trama e delineare quindi una scaletta (che può essere modificata in itinere). I primi esercizi pratici di solito vertono su costruzioni di personaggi, dialoghi, ambientazione, scene base e nodi cruciali della trama, genere e target del manoscritto, quindi, si stabiliscono degli obiettivi di stesura, via via, dei vari capitoli. L’autore o autrice consegna pagine o capitoli all’editor, seguendo la scaletta, oppure anche spezzoni di trama casuali (dipende dalle attitudini di scrittura, qualcuno predilige una stesura “casuale”, ad esempio, per poi sistemare tutto il manoscritto in un secondo momento). Il confronto con l’editor avviene con lettura delle pagine scritte, si analizzano le incongruenze e/o gestioni troppo vaghe di trama e personaggi. Si lavora anche sullo stile più adatto al genere che l’autore o autrice sta scrivendo. Lo scopo finale è raggiungere la prima stesura del libro in circa un anno, durante il quale – oltre a esercizi pratici – verranno assegnati anche dei manuali di scrittura, testi di narrativa ad hoc da studiare e leggere, da commentare poi dal vivo con l’editor.

Il coaching letterario è anche un allenamento, ad esempio per gli autori che hanno buone capacità di scrittura, ma si perdono con i tempi di stesura e hanno bisogno di qualcuno che solleciti le consegne del manoscritto. Si tratta di una sorta di personal training di scrittura, che, invece di allenare i muscoli del corpo di un atleta, allena la mente, il guizzo e l’arte narrativa di un autore o autrice.

È capitato qualche volta che uscissero fuori aspetti della vita di un autore o autrice, durante il coaching, messi su carta in modo apparentemente casuale, ma che invece rispecchiavano delle esperienze di vita vissuta: si dice, infatti, che la scrittura abbia funzione catartica e, grazie anche al sostegno di un coach editor professionista, si possono riconoscere aspetti del proprio vissuto da esorcizzare scrivendo oppure, addirittura, da sottoporre a uno psicologo o psicoterapeuta. Il potere della parola e della scrittura è anche questo: a volte, risolve la vita di chi le usa.

Alla prossima e… buona lettura e buona scrittura a tutti!

Buongiorno amici autori e colleghi editori! Oggi a parlare, anzi, a scrivere non sono io Agente letterario, bensì un amico autore e sceneggiatore, Giacomo Berdini. Descriverà le sue esperienze lavorative, qualche aneddoto e risponderà a un enigma antico come il mondo: meglio il romanzo o il film? A voi l’ardua sentenza. A presto e, come sempre, buona scrittura!

Dite la verità, quante volte vi è capitato, dopo la visione di un film, di sentire o pronunciare l’abusatissima frase “era meglio il libro”?

In passato ho interpretato questa affermazione come una volontà di mostrare la propria superiorità intellettuale, della serie: “Sì ok, il film è alla portata di tutti ma io sono molto più figo perché ho letto il libro”. Questa, però, è una visione un po’ riduttiva, lo ammetto.  

Il problema è che, spesso, trovandoci davanti all’adattamento filmico di un’opera letteraria, restiamo delusi di non trovare la stessa profondità, le stesse emozioni, quel senso di trepidante e intima scoperta che accompagna la lettura di un romanzo. Ma questo succede perché stiamo parlando di due mondi completamente differenti. Non ci credete? Ve lo dimostro, o almeno… ci provo!

La prima grande differenza sta proprio in noi, nel pubblico. Se ci pensate, il romanzo ci porta a immaginare, mentre il film ha il compito di mostrare, stimolando nel cervello due reazioni completamente diverse. Il libro, inoltre, ha una dimensione di lettura più personale e intima mentre il film nasce con lo scopo di essere condiviso in una sala, da un pubblico che si lascia trasportare dalle medesime emozioni, come passeggeri di una giostra a un parco divertimenti. 

Infine, e qui arrivo alla differenza più importante, la scrittura di un film segue regole e dinamiche molto diverse rispetto al romanzo. 

Da sceneggiatore di professione e sporadico autore di romanzi, mentirei se vi dicessi che scrivere un film o un libro è la stessa cosa. 

Ok, non ho mai lavorato all’adattamento di un romanzo per il cinema, ma conosco bene i due linguaggi nella loro complessa diversità. Sono due pianeti distinti che, pur condividendo certe dinamiche narrative, lo fanno utilizzando mezzi diversi. 

Non mi soffermo sull’ABC della scrittura, su come si progetta una storia, su tutto il lavoro di preparazione necessario a scrivere la prima parola su un foglio bianco; quello fa parte del mestiere di storyteller. In entrambi i casi, che sia libro o film, la preparazione è fondamentale e, a meno che uno non stia scrivendo un’opera in stream of consciousness senza una trama e con una sola voce narrante (Dio ce ne scampi) prima di mettersi davanti al computer a inanellare parole, va fatto un grandissimo lavoro di concezione e pianificazione. 

A parte questo, la sceneggiatura si differenzia dal romanzo perché è un tipo di scrittura molto più tecnica e piena di regole stringenti. La prima di queste è scolpita nelle tavole sacre della cinematografia dall’alba dei tempi: “Show, don’t tell”. Mostra, non dire.

Il film deve vivere di una vita propria svincolata dalla parola. Nel romanzo, invece, la parola è tutto. 

Nel libro ogni cosa è scritta nero su bianco, l’autore può immedesimarsi in ognuno dei personaggi come narratore onnisciente, sviscerare la parte più intima di ogni carattere sulla pagina, portando in emersione i pensieri più reconditi. In un film, se un personaggio è costretto a spiegare al pubblico come si sente… beh, forse gli sceneggiatori hanno toppato qualcosa! Certo, esiste sempre il comodo escamotage della voce narrante, ma va dosato bene e può diventare pesante o stucchevole. 

Se analizziamo la sceneggiatura nelle sue componenti base, tutto si riduce a due elementi: azione e battute. Stop. Questi sono gli unici strumenti a disposizione di chi scrive; tutto il resto va mostrato nel sottotesto, nel non detto, nella sospensione che si fa veicolo di emozione, anche attraverso il corpo degli interpreti, attraverso i silenzi. Per questo è così importante la figura del regista!

A questa prima “difficoltà”, si aggiunge un problema di durata. 

Un film, se supera le due ore e mezza, diventa una mattonata (a parte “Balla coi Lupi” e la Trilogia de “Il Signore degli Anelli” eheh!) 

Tralasciando i gusti personali, mediamente un lungometraggio dura sui 120 minuti. Ogni scena deve avere un fuoco e un senso che faccia sempre evolvere la storia, anche perché ogni scena costa soldi alla produzione e non ci si può permettere di spargere qua e là sequenze inutili o di approfondimento che, nella maggior parte dei casi, verranno tagliate ancora prima di iniziare a girare. 

Certo, anche nei romanzi, soprattutto oggigiorno, c’è un limite di pagine; gli editori non vogliono pubblicare libri lunghissimi perché i lettori ne vengono scoraggiati (l’ho imparato a mie spese), tuttavia, c’è sempre spazio per dire qualcosa in più rispetto a un film; un pensiero, una piccola descrizione capace di dare al lettore un dettaglio importante senza per forza interrompere l’azione.

Nella sceneggiatura, una pagina equivale più o meno a un minuto, quindi non si può andare da un produttore con un copione di 240 pagine e dire “tranquillo, non dura 4 ore, è che ci sono un sacco di didascalie!”

La sceneggiatura deve avere uno stile rapido, asciutto, le battute devono essere incalzanti e avere ritmo, tutto ciò che viene scritto deve essere finalizzato a una messa in scena efficace, anche a discapito del contenuto. Non avete idea di quante volte sento parlare a sproposito di “Buchi nella sceneggiatura” da persone che si riferiscono in realtà a una mancata spiegazione o a un salto temporale. Il film non ha il compito di spiegare tutto, anzi, deve mostrare l’essenziale per far procedere la storia. Con “buco” si intende un errore nel meccanismo della trama, una motivazione che non sta in piedi, una reazione non motivata o frettolosa, non il fatto che non ti ho fatto vedere dove il mio protagonista ha preso il drink che ha in mano; al massimo questo è un errore di continuità ma non mi addentro nell’argomento perché poi diventa tutto tedio. 

Cerco di concludere andando a toccare il punto più importante: la sceneggiatura segue una struttura ben precisa che definirei quasi rigida. 

A differenza del romanzo, che può fluire in modo più variegato, assecondando i tempi del racconto con maggiori dilatazioni, quasi tutti i film sono costruiti sulla base di uno schema in 3 atti, con un primo atto che dura tra i 15 e i 25 minuti, un secondo che copre i successivi 50 minuti, e un terzo atto di epilogo che, solitamente, non dura più di 20 minuti. Ogni atto, poi, è suddiviso in sottosezioni che sviluppano la trama seguendo twist e turning point ben definiti, come l’evento scatenante (o chiamata dell’eroe), il midpoint, il punto di morte ecc. Certo, ci sono film che giocano di anti-struttura ma, a meno che non siate Tarantino, ignorare la scaletta classica porta quasi sempre a ottenere un film traballante e un po’ incasinato (altra lezione imparata a mie spese). 

Comunque, se non credete a me, leggetevi “Save the Cat” di Blake Snyde che si è messo lì a “smontare” uno per uno i film più famosi di sempre riuscendo a isolare una struttura che risulta compatibile con il 99% dei lungometraggi. 

E qui voi vi chiederete: “Quindi gli sceneggiatori scrivono lo stesso film “over and over again”, cambiando i personaggi e le situazioni dentro lo stesso schema?” Assolutamente no. 

Immaginate gli sceneggiatori come degli sciatori che gareggiano seguendo lo stesso tracciato di porte sulla pista. Ti indica la strada fino al traguardo, ok, ma bisogna saper sciare bene per arrivare in fondo. 

E qui arriva un’altra domanda che mi sono sentito rivolgere spesso: “Ma quindi scrivere sceneggiature è noioso?” 

Allora, no. Se si ama scrivere, ma il romanzo è più divertente.

Tornando alla metafora dello sci (scusate ma sono cresciuto in montagna) scrivere un romanzo è come farsi una sciata su una pista libera. Scrivere una sceneggiatura è come fare una gara su un tracciato pieno di paletti e buche, con l’allenatore/produttore che ti cronometra e ti tiene d’occhio. 

La maggior parte delle volte, infatti, anche le sceneggiature si scrivono in squadra, componendo una writers’ room che metta assieme un autore forte sulla struttura, un altro bravo nei dialoghi, e un terzo che magari ha una mente più “registica”, non molto diversamente da quanto accada nei team agonistici.  

Comunque, dopo tutte ‘ste metafore sportive, tecnicismi e inglesismi più o meno leciti, torno alla domanda iniziale: è meglio il libro o il film? E chi cavolo lo sa? 

Esistono film belli o brutti, libri buoni o cattivi. Entrambi vanno valutati come versioni alternative della stessa storia, non come un’estensione uno dell’altro. 

Sono due opere distinte che si presentano al pubblico in forme e linguaggi diversi. 

Ci sono tanti libri che restano superiori ai loro adattamenti cinematografici, ma esistono film che hanno superato di gran lunga il romanzo da cui sono tratti. Uno su tutti? Fight Club. 

La pellicola di David Fincher spacca mentre il libro di Palahniuk… meh! 

E voi che ne pensate? Secondo voi c’è un film che ha superato il libro o siete membri del club “sempre meglio il libro”? Fatecelo sapere nei commenti!

Giacomo Berdini

Scrittore, sceneggiatore

Buongiorno amici autori e colleghi editori. Sono reduce dal Salone del libro di Torino, finito con record di ingressi e di incassi per molti miei amici ai vari stand. L’affluenza, stavolta anche all’Oval – il padiglione esterno con moltissimi grandi editori – è stata più che soddisfacente, con ottime vendite e un trend di lettori giovani in crescita.
Stavolta, dal 2019, quindi dopo 3 lunghi anni, finalmente il Salone è tornato a essere anche scambio di diritti. Mentre la mia casa editrice, Astro edizioni, era in prima linea a vendere i libri (fino al quasi esaurimento di tutti i volumi a disposizione!), io ero dietro le quinte al mercato che conta davvero: quello delle traduzioni e delle vendite dei diritti all’estero.
Ho trovato grande interesse sempre per la letteratura, che non stanca mai il pubblico, molto meno per i soliti generi letterari (quali gialli e thriller, ad esempio). La fanno anche qui da padrone i diritti dei libri per bambini e, da poco ritornati in auge, dei librogame. Peccato solo aver avuto la fiera del libro per bambini di Bologna un mese e mezzo prima, altrimenti gli editori di tale genere sono molto attenti alle novità di mercato.
Ho conosciuto nuovi editori, quali Buendia Books, che pubblica temi e autori soltanto del Piemonte, con una specializzazione che paga in termini di vendite, oppure Graphot, interessata al mondo dei vini e di storie vere di donne. Ho avuto molto da dire con agenti esteri, ad esempio Osiris Bookshop dal mondo arabo, Helsinki Agency dalla Finlandia.
Ci sono stati poi dei bei confronti con altri agenti letterari italiani, convenendo che ormai il mondo dello scambio dei diritti editoriali si trova – ahimè – fuori dall’Italia (Francoforte, Parigi e Londra su tutte), a parte la fiera del libro per bambini di Bologna, ancora eccellenza tutta nostrana.
Strano, ma vero, in prima linea tra i padiglioni e gli stand, giravano pochissime scuole e bambini, forse perché il Salone precedente si è tenuto a ottobre, nello stesso anno scolastico, limitando così le uscite istruttive di molte scolaresche. Almeno, anche stavolta i ragazzi del Piemonte avevano un buono libro da 10€ da spendere in libri!
In ogni caso, è stato bello salutare moltissimi editori e autori allo stand, parlare con loro dal vivo senza il filtro dei social network. Ho la sensazione che, almeno in editoria, la pandemia e le sue restrizioni siano solo un lontano ricordo.
Alla prossima fiera e, come sempre, buona lettura a tutti!

Come è nato il progetto “HO SCRITTO AMO SULLA RABBIA”

Laboratorio di Astro edizioni e Burattingegno teatro nelle scuole superiori

Quando ho aperto Astro edizioni, il mio scopo primario era pubblicare libri, prettamente di genere fantasy, che avessero anche uno scopo, un messaggio da lasciare ai lettori. Si sa, il fantasy è da sempre allegoria della realtà: i messaggi profondi, se narrati con l’allegoria, passano molto più facilmente nel cuore delle persone.

Un giorno, grazie al mio lavoro di agente letterario (sì, sono anche scout di nuovi talenti in editoria), mi ha contattato un autore che, sin dalle prime righe della sua e-mail, ho capito che era “diverso”. E per “diverso” intendo molto bravo nella scrittura, profondo, umile e determinato, sincero ed emotivamente collegato a questo mondo: Stefano Antonini.

Il suo primo libro – ma, attenzione, prima opera solo in narrativa, perché Stefano è poeta, scrittore di sceneggiature teatrali, attore e formatore professionista – Torna. Lettera di un padre al figlio omosessuale, mi ha colpito al cuore.

All’epoca, Astro edizioni non aveva una collana prettamente di narrativa, noi eravamo conosciuti per le nostre pubblicazioni di genere (fantasy e per bambini). Mai avrei creduto che, pubblicando un libro su una storia VERA, avrei fatto la fortuna della mia casa editrice. E non solo fortuna economica, dato che il libro di Stefano è un bestseller e long seller che ogni anno acquisisce nuovi lettori entusiasti, ma anche e soprattutto fortuna emotiva. Torna ha consentito a me e ad Astro edizioni, la mia creatura, di aprire le porte a Biblioteche, Centri culturali, Cultura omosessuale, Associazioni di stampo sociale e, finalmente, ora anche Scuole. Sì, perché Torna. Lettera di un padre al figlio omosessuale è un manifesto di accettazione delle differenze, con amore, che Astro edizioni abbraccia completamente: ha inaugurato una nuova e molto apprezzata collana editoriale, Storie di vita, e ha fatto breccia nel cuore dei genitori, degli insegnanti, dei ragazzi.

Grazie a Stefano Antonini e al suo libro, Torna. Lettera di un padre al figlio omosessuale, Astro edizioni sarà da oggi presente anche nelle scuole dalle medie in su, per puntare a progetti di inclusione e contro ogni forma di bullismo come questo, “HO SCRITTO AMO SULLA RABBIA”, promosso da Regione Lazio con bando POR FSE (fondi Unione Europea).

I ragazzi e le ragazze dell’IS Lucio Lombardo Radice di Roma, in una delle periferie più bistrattate della Capitale, sono stati i primi ad aderire al progetto, ma ce ne saranno molti altri, per creare una catena di consapevolezza che abbracci tutto il nostro Paese.

Questi ragazzi mi hanno lasciato tantissimo: l’adolescenza, oggi, con i mezzi virtuali, le chat di gruppo che possono divenire terreno di bullismo pesante e diffuso a tutta la scuola con un solo click, i social network e l’alienazione post quarantene sanitarie obbligatorie, è un campo minato. Speriamo, con questo progetto, di aver lasciato una scia di luce, una nuova strada da seguire. Di sicuro, a me questi ragazzi hanno lasciato moltissimo, una speranza per il futuro. Auspico che i miei figli, tra 10/15 anni, saranno pronti a difendere le loro idee come hanno fatto questi giovani oggi, con consapevolezza e determinazione.

Forza, ragazzi, io sono con voi!

 

Francesca Costantino

CEO e direttrice editoriale Astro edizioni

Buongiorno amici autori! Ho chiesto a un editor e autore che collabora con me da diversi anni, Giovanni Magistrelli, come approcciarsi alla scrittura.

In una serie di 5 articoli, vi darà la sua personale interpretazione (costellata di notevoli successi editoriali e lavorativi) di cosa può fare uno scrittore alle prime armi per migliorarsi, raggiungere la pubblicazione e promuoversi. Questo è il primo articolo, buona lettura!

Molto spesso, durante i firmacopie dei miei romanzi in libreria e alle fiere del libro, i lettori se ne escono con questa frase: «Complimenti, come ti invidio! Anche io da molto tempo vorrei scrivere, ma…».

Di solito, finisco di autografare con dedica il libro e poi li guardo. «Ma cosa?», chiedo loro, restando in attesa.

Le risposte che ricevo sono sempre uguali: «Non sono capace di scrivere; non ho tempo; poi, alla fine, chi mi leggerebbe?; ho iniziato tempo fa una cosa e poi mi sono fermato; come potrei mai scrivere un romanzo di 400 pagine come il tuo?; ecc.».

A tutti loro dico quello che vale per me (e, credo, per molti scrittori): si scrive perché è un bisogno e perché si sente di avere dentro di sé qualcosa da raccontare al mondo. Non fatelo domandandovi se diventerete autori di best-seller (ve lo auguro!) o, anche soltanto, se troverete una casa editrice (non a pagamento, mi raccomando) disposta a pubblicarvi. In realtà, mettetevi all’opera e scrivete soprattutto se volete leggervi. Voi stessi siete i vostri primi lettori.

Se non siete dei lettori, lasciate stare: lo scrittore che dice di non leggere non è un vero scrittore, ma uno che non lo diventerà mai. Io, per esempio, scrivo quello che vorrei leggere (e che spesso trovo in opere di altri autori). Se ciò che ho creato nero su bianco (o sul Word di un pc) non annoia me, allora ho qualche speranza che possa interessare pure qualcun altro.

Inoltre, come si dice, “non si nasce imparati”; gli autori di best-seller, come anche di classici, non sono giunti ai livelli che noi conosciamo in un solo giorno o al primo libro. Esiste, tuttavia, una ricetta per scrivere? Nessuno ha il verbo in proposito, neppure uno navigato e di successo da mezzo secolo come Stephen King (il mio “dio narrativo” personale); quindi, figuriamoci se ce l’ho io, giunto appena al quinto libro! Però voglio provarci, come un pasticciere che vi consiglia quali ingredienti ci vogliono per preparare una buona torta di mele.

Prima di tutto, esercitarsi tanto, all’inizio con racconti brevi, prima di affrontare un percorso lungo come un romanzo. Continuare a leggere molto, perché dovete “rubare il mestiere” ai vostri autori preferiti. Avere un’idea più o meno originale da cui partire e da sviluppare, facendola crescere con pazienza, amore, impegno. Dare a questa passione il maggior tempo possibile (mandate al diavolo social, videogiochi, chat, ecc. e vi accorgerete quanto tempo sprecate in cose inutili) ed essere disciplinati (non sempre si ha voglia di scrivere, ma ci si costringe, per combattere sia la pigrizia, sia la paura del foglio bianco). Come anticipato, non voglio comportarmi da maestro (ogni giorno scopro quanto ne so poco e ogni giorno cerco di migliorarmi): ho tentato semplicemente di spiegarvi come mi comporto io, per sperare di arrivare ad autografarvi una copia dei miei romanzi in una libreria della vostra città. Buona scrittura (e buona lettura)! 

Lo scrittore ed editor Giovanni Magistrelli, dopo una vita passata a viaggiare da poliglotta da un continente all’altro, inizia la sua avventura editoriale nel 2014 con la raccolta di racconti Gli occhi di Bryan (Youcanprint, 2014), a cui fa seguito la partecipazione al libro Milano in centoparole (Giulio Perrone Editore, 2015) con la storia Milano è cambiata. Contribuisce con i racconti: Il matrimonio di Patricia al volume Ophelia’s Love Writers (Libri Asino Rosso, 2017) e Il castello sul lago all’antologia Nello specchio (Edizioni SensoInverso, 2018). Pubblica quindi il romanzo thriller-urban fantasy Il tempo degli dèi (Astro Edizioni, 2018) e l’autobiografia/diario Sconcertato. Guida alla sopravvivenza fronte palco (ChemCapt Autori, 2018). L’anno successivo, esce il romanzo thriller distopico di fantapolitica L’Unione nel mirino (Astro edizioni, 2019). Nel marzo 2022 sarà pubblicato il noir I volti dell’Apocalisse (Astro Edizioni).

Buongiorno, amici autori!

Sapete, ogni editor e agente letterario ha la sua specializzazione. La mia, in particolare, è in narrativa genere fantasy. Ne leggo, scrivo, correggo da decenni, ormai. Sono quindi anche appassionata, oltre che professionalmente portata per questo genere.

Ebbene, uno dei più grandi cliché in cui cadono gli autori emergenti, nel fantasy soprattutto (ma non solo), è eccedere in meticolose e particolareggiate descrizioni di armature, locande, cibi, personaggi anche secondari, ecc.

Ripeto, è un tipico errore nel fantasy, eppure l’ho trovato anche nella narrativa di genere romance, in quella non di genere, persino nei thriller che dovrebbero invece garantire un ritmo più veloce.

Eh, sì, perché la descrizione questo fa: rallenta il ritmo, l’azione.

Può essere voluta, dopo una scena d’azione, per placare i cuori del lettore, rimasti col fiato sospeso dopo un gigantesco colpo di scena. Serve per introdurre un personaggio importante, sebbene io apprezzi descrizioni “spennellate”, piuttosto che a tinta unita.

L’eccessiva descrizione, in ogni genere letterario, causa una reazione fondamentale nel lettore: noia. Ammorba, stanca. Io personalmente chiudo il libro e non lo riapro più.

D’altra parte, una descrizione del tutto assente o molto blanda lascia di solito i lettori insoddisfatti per degli incompiuti nella narrazione. 

Cosa fare, quindi? Non venite a dirmi: “Eh, beh, ma i grandi classici del romanzo sono pieni di descrizioni!”. Vero, infatti al lettore moderno (non abituato) vanno poco a genio. Oggi la comunicazione è veloce, immediata, abbiamo accesso nelle nostre mani e sempre (via smartphone, ad esempio) a un’infinità di informazioni, scritte, e anche audiovisive. Quindi, se io autore sto parlando della Torre Eiffel a Parigi, inutile soffermarmi sulla sua costruzione o imponenza, se non per brevissimi tratti, dato che tutti i lettori possono ottenere informazioni dettagliate su di essa, in qualunque momento. Meglio allora darne una descrizione emotiva, dal punto di vista del personaggio, attraverso i suoi sensi.

Nella narrativa moderna, sempre più, si tende ad avere un approccio minimalistico alla descrizione: si rivelano alcuni dettagli in ordine logico, ad esempio, oppure si danno due-tre dettagli in ordine sparso.

Vi do un consiglio pratico: realizzate una scaletta delle parti del vostro romanzo (scene descrittive, scene d’azione, dialoghi ecc.) prima di iniziare a scrivere. Se le parti non sono in armonia tra loro, se le scene descrittive sono più lunghe delle altre o in eccesso, rispetto al contenuto del romanzo, tagliate. E poi, rileggetevi ad alta voce, una volta finito di scrivere. Vi annoierete da soli, quando l’eccesso di descrizione avrà preso il sopravvento.

Buona scrittura!

Buongiorno amici autori e colleghi editori! Finalmente, l’agenzia riparte anche con le pubblicazioni degli autori più meritevoli, che abbiamo scelto tra le centinaia di proposte pervenute in agenzia.

Tra questi, ho deciso di rappresentare un promettente autore, Stefano Ponti, che ci ha fatto leggere ben due anni fa – prima della pandemia – un romanzo molto particolare, Il leone e la bambina, scritto in dialetto romanesco e basato su una storia vera raccontata tra i vicoli del Portico d’Ottavia, zona centrale di Roma, suggestiva e pittoresca, purtroppo scenario di eventi storici tristi durante il secondo conflitto mondiale.
Attraverso gli occhi di una bambina, ripercorriamo le tappe della deportazione degli ebrei romani, di cosa volesse dire fare la fame anche in città, di com’era Roma in quel periodo storico. Gli occhi sono quelli di una bambina, divenuta però adulta troppo presto.
Questa storia è piaciuta all’editore ENSEMBLE, che saluto e ringrazio per la pubblicazione, che avverrà entro fine anno, in tempo per la fiera Più libri più liberi di Roma, alla quale parteciperà anche l’autore Stefano Ponti.

SINOSSI

“Solo a Roma, ci si può preparare a comprendere Roma”, aveva detto Goethe, durante uno dei suoi soggiorni nella Città eterna. E solo a Roma, “dove tutto è pubblico e niente è privato”, ci si può imbattere nella Storia, attraverso le storie della sua gente.
E, tra il 1939 e il 1943, di storie non possono che essercene tante, soprattutto in quel maledetto sabato 16 ottobre, in cui i nazisti occuparono l’antico Ghetto, città all’interno della città, tracciando una ferita che solo il Tempo potrà, forse, rimarginare.
Tina Inguscio è una bella ragazza che si innamora del carismatico Alessandro Moschetti, caporale maggiore dell’Esercito. Quando lei scopre di essere incinta, è consapevole che la sua favola volgerà presto al termine, perché soffre di un cancro incurabile. Laura Borsaroli è una bambina ebrea che, con il terrore negli occhi e la paura di non rivedere più i suoi genitori, trova riparo a casa di Diego Magnaccioni, un ragazzo benestante ma con alcune problematiche fisiche, che ha un’unica, grande passione: il buon cibo romano.
Le loro storie, raccontate anni dopo tra caffè e dialoghi in romanesco, ci mettono in mano un libro prezioso, capace di emozionare il lettore e, pagina dopo pagina, catturarlo con la sua forza espressiva e la capacità di raccontare l’amore e l’amicizia nelle forme più pure.

L’AUTORE

Stefano Ponti ha pubblicato due raccolte di poesie: Poesie d’un tempo adesso (2009) e Poesie nel tempo adesso (2010) e i romanzi: Le ali del cuore (2011) e Ti regalo il male (2014), riscuotendo un buon successo di pubblico.

Buona lettura, e alla prossima!

Agente Letterario e la collana Psiché. Benessere della mente, targata Astro edizioni, promuovono i corsi di BOOK THERAPY. Leggiamo insieme i più grandi classici di tutti i tempi e riflettiamo sui loro messaggi, che toccano vari aspetti dell’animo umano. Il tutto, insieme alla professionalità della psicoterapeuta Michela Cavaliere. Ecco, nelle parole della dottoressa Cavaliere, come si articolerà il corso e perché è utile frequentare.

Esistono tanti tipi di terapia psicologica, alcuni di essi molto specifici per la cura di stati d’ansia, difficoltà relazionali e depressione. La biblioterapia, o book therapy, si serve della lettura per affrontare temi e problemi di bassa e media entità. 

Ma è davvero utile? 

Possiamo curarci sul serio leggendo libri? 

Partiamo dal presupposto che leggere fa bene, alla mente cognitiva e all’umore. Ritagliarsi un momento per se stessi, anche solo un quarto d’ora, permette di allontanarsi dai propri problemi e dai pensieri negativi e calarci nelle vicende del protagonista. Che siano storie drammatiche, romantiche, avventurose o d’investigazione, quasi come nei sogni, la nostra mente trova una fuga dalla realtà e, finalmente, respira! 

Non esistono controindicazioni: leggere un libro richiede un impegno che viene ripagato con un coinvolgimento emotivo che scarica le nostre tensioni e ci permette di sciogliere nodi quotidiani. 

Come reagisce il protagonista a quel problema?

Vincerà le sue paure? 

Seguirlo nelle sue vicende, tifare per lui e vederlo superare una difficoltà dietro l’altra crea in noi la sensazione che possiamo fare altrettanto, che non siamo soli nei nostri drammi e che possono esserci strategie che non avremmo mai pensato di mettere in atto.

Ebbene sì, tutto questo avviene senza che ce ne rendiamo conto! Ma alcune volte siamo talmente stanchi, desolati e nervosi che leggere un libro può sembrarci inutile. 

Con la book therapy, però, non siamo soli: possiamo affrontare paure e desideri, il dolore di una separazione, il lutto per la perdita di una persona cara, l’indecisione di fronte a una scelta, accompagnati da un terapeuta e da un gruppo di persone che possono darci un utile spunto di riflessione e aiutarci a compiere un vero cambiamento.

Che sia in gruppo o durante incontri individuali, la guida esperta di uno psicoterapeuta permetterà di riscoprire archetipi ed emozioni sopite, aiutando nella risoluzione dei disturbi che peggiorano la propria vita fino all’emergere di nuovi punti di vista. 

Buona lettura a tutti!

I moduli del corso di Book Therapy

  1. Modulo 1 Dracula (NOVEMBRE): si andrà lavorare sulle relazioni tossiche, ovvero sulla propria fragilità e l’esposizione a persone che vampirizzano le nostre emozioni. 
  1. Modulo 2 Cime Tempestose (GENNAIO): l’eterna ambivalenza delle relazioni tra amore e odio.
  1. Modulo 3 Frankenstein (FEBBRAIO): la psiche del mostro che è in noi, tra solitudine e lutto. Si parlerà inoltre delle figure genitoriali manipolatorie e onnipotenti, di come influenzino la propria autostima e della paura dell’abbandono.
  1. Modulo 4 Il ritratto di Dorian Gray (MARZO): i temi che verranno trattati nascono dal nodo del narcisismo patologico e la paura dell’invecchiamento, ovvero la non-accettazione di sé. È possibile stare insieme a una persona narcisista? Come ci si difende?

Costi classe: €120/1 modulo o €400/4 moduli (min 5 max 10 partecipanti)

Costo individuale: €150/1 modulo o €500/4 moduli

NB: I costi sono PRESTAZIONE SANITARIA, quindi sono detraibili.

 

Michela Cavaliere

Psicologa e psicoterapeuta, ha studiato presso l’Università degli Studi di Genova e si è specializzata in psicoterapia con adulti, coppie e minori. Ha effettuato un master in psicoterapia psicoanalitica presso la Tavistock Clinic di Londra e si è specializzata nei disturbi legati all’umore, all’ansia e alla sessualità. Infine, negli ultimi anni, ha unito alla pratica terapeutica anche gli strumenti dell’induzione ipnotica e di book therapy.

Scrittrice e curatrice della collana “Psiché. Benessere della mente”, ha da sempre una passione per i libri che non sono solo strumento di piacere e rilassamento, ma permettono anche l’occasione di crescere e di curare le proprie ferite.