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Il “buon” vicinato, si sa, è cosa rara. Da che ho memoria, le riunioni di condominio sono delle faide infinite, tra co-residenti di uno stesso edificio. E, nelle città italiane, sono spesso chiassose, dato che i palazzi sono giganteschi formicai. Di rado ho assistito a riunioni pacifiche, di rado ho incontrato vicini piacevoli e, in un solo caso, amici. Ma… c’è un ma.

Il lockdown, la chiusura forzata dovuta al Covid-19, per ridurre il contagio da coronavirus, sta obbligandoci a riscoprire il vicinato. Stavolta, buono per davvero.

Sì, perché se soltanto due mesi fa non sapevo nemmeno come si chiamasse il mio dirimpettaio, lo salutavo per educazione in quelle rare volte in cui ci incrociavamo (dati i ritmi serrati della vita quotidiana), adesso invece mi sono riscoperta una gran chiacchierona.

E, sembra, che le chiacchierate dal balcone stanno diventando sempre più diffuse, in un’Italia ancora persa nell’incertezza del futuro. Si vive nel presente, nelle proprie case, si riscoprono vecchi e nuovi rapporti, ci si parla per davvero, sebbene a uno o due piani di altezza diversa, invece che tramite smartphone.

Il che è arrivato alle orecchie di molti autori ed editori, tanto che si stanno diffondendo moltissimi “racconti dal balcone”, anche di autori affermati. Un modo per fare narrativa che spiega come le storie, forse le più vere, vengono dal proprio vissuto quotidiano: inutile cercare una trama chissà dove, lontano nel mondo, quando basta soltanto aprire una finestra.

I diritti d’autore, in moltissimi casi, sono anche devoluti in beneficienza, il che mostra come la scrittura, oltre a essere terapeutica e un passatempo, può anche essere davvero utile.

Quindi, come sempre, buona lettura e… buone chiacchierate dal balcone, anche nei prossimi mesi perché, certe volte, un vicino può essere anche un “buon” amico.

Buongiorno, amici scrittori, lettori e colleghi editori. Spesso, mi trovo a rispondere allo stesso modo a domande molto simili tra loro, da parte di autori emergenti o anche professionisti, che non hanno ancora mai lavorato insieme a un’agenzia letteraria o ad un agente letterario. Per questo, ecco qui 10 domande FAQ e 10 risposte!

NB: Non potrò essere del tutto esaustiva, in questo sito web avete i miei contatti e potete chiamarmi o scrivermi una mail, per avere ulteriori chiarimenti.

1) Se acquisto una valutazione tecnica, oppure un editing, o qualunque altro servizio di agenzia, la rappresentanza è poi inclusa, certa e automatica?

Purtroppo, no. La rappresentanza scatta quando un manoscritto non solo è di buona oppure ottima qualità tecnica, ma anche quando l’autore ci mette impegno e fa proposte di promozione, o ha un curriculum interessante e, infine, soprattutto se il testo presentato è commerciale, attuale e spendibile sul mercato.

2) Cos’è la rappresentanza?

Un servizio di intermediazione: l’agente letterario fa da tramite tra l’interesse dell’autore (ottenere la miglior pubblicazione possibile, con un buon marchio editoriale e pagata bene) e l’interesse dell’editore (pubblicare testi spendibili sul mercato, con autori che amano collaborare attivamente).

3) Se mi rappresenti tu, poi sarò pubblicato?

Non è detto. O meglio, le possibilità di essere pubblicati (e bene), attraverso un’agenzia letteraria che offre consulenza tecnica, aumentano moltissimo. Migliora anche la consapevolezza dell’autore nei confronti del contratto editoriale che sta per firmare.

I vantaggi sono indubbi, soltanto che la certezza di arrivare alla pubblicazione non si può dare: le spese di pubblicazione sono appannaggio dell’editore, che investe di tasca sua. Nessun agente può mettere le mani in tasca a nessun editore, per costringerlo a pubblicare. Bisogna invece “convincere” l’editore, in un rapporto di fiducia, per “vincere insieme”.

4) Puoi dirmi gli editori ai quali mi presenterai, anche senza aver valutato il mio manoscritto?

Magari, sarebbe bello saperlo a scatola chiusa! La scelta degli editori è uno studio tecnico e commerciale notevole.

Dapprima bisogna conoscere bene ciò che si rappresenta, il manoscritto, quindi conoscere anche il catalogo di quell’editore, avere modo di parlarci per capirne le tendenze, studiare l’attuale mercato. È un’analisi commerciale e di prodotto molto complessa, che va ponderata per bene.

5) Cos’è una valutazione tecnica?

La valutazione tecnica è un’analisi di stile e intreccio, contenuti e personaggi, ritmo e congruenza, dialoghi e lessico. La valutazione è anche commerciale: che vendite nell’attuale mercato potrebbe avere il romanzo? Si può posizionare su quale scaffale e perché?

Il tutto viene scritto su una scheda molto analitica, con consigli e suggerimenti pratici. Sta poi all’autore sistemare il romanzo, così che eventuali difetti riscontrati siano tolti.

6) Come funziona la rappresentanza a percentuale?

Se il romanzo è buono e commerciale, l’agente letterario può offrire la rappresentanza.

Di solito, questa è a percentuale sulle vendite del libro pubblicato, in pratica l’agente prende una percentuale sui diritti d’autore/royalties (che vengono dati dall’editore sia come anticipi – non sempre -, sia come pagamento sul venduto).

7) E non si può andare subito in rappresentanza, senza per forza dover passare per la valutazione tecnica?

I casi in cui decido di andare subito in rappresentanza a percentuale sono pochissimi, forse uno o due all’anno. Perché l’autore ha già lavorato con me e c’è un rapporto professionale di fiducia; perché il curriculum è davvero ottimo; perché l’idea è richiestissima, attuale e vincente.

Il motivo per cui faccio PRIMA una valutazione tecnica è presto detto: soltanto 1 manoscritto su 100 che leggo (anzi, forse anche meno) può davvero andare in rappresentanza e sperare di vendere qualcosa, in questo mercato saturo!

8) Io non posso e non voglio spendere nulla. C’è comunque modo di collaborare? Sento che il mio romanzo può davvero funzionare!

Certo, c’è il servizio di valutazione gratuita: presentami un progetto, l’idea dietro al tuo manoscritto; la sinossi, la struttura e quello che vuoi comunicare. Mandami la tua biografia, fammi davvero capire chi sei e quanto vali, quali sono le tue passioni e di cosa ti occupi. Mandami UN SOLO capitolo in valutazione, quello che secondo te è il più rappresentativo del tuo manoscritto.

E poi sentiamoci, parliamoci, se possibile incontriamoci anche. Un caffè e una chiacchierata non si negano a nessuno. Se mi convinci, io senz’altro leggerò gratis questo materiale fornito (progetto, sinossi, biografia e un solo capitolo a scelta) e potrò già farmi un’idea.

9) Io non ho bisogno di un agente letterario, io posso cercare l’editore da solo.

Certo che puoi. Molti autori emergenti hanno trovato da soli l’editore giusto per loro, qualcuno ha anche pubblicato con marchi noti e commerciali. È possibile!

Non tutti hanno però tempo o modo o voglia di farlo, oppure dopo mesi e mesi di ricerche, non ricevono risposta, le mail tornano indietro, le redazioni non rispondono, o rispondono solo quelle a pagamento… l’agente letterario o l’agenzia letteraria possono bypassare questa lentezza burocratica e far leggere in meno tempo il manoscritto, alla persona giusta, sapendo che presentano solo testi già puliti e corretti, di buona o anche ottima qualità. E sanno riconoscere un contratto editoriale ben fatto da uno di “dubbia” qualità.

10) Ti occupi anche di promozione? Io ho già pubblicato il libro, ma non so come muovermi…

Certo! Per gli autori di agenzia lo facciamo di default, compreso nella rappresentanza; offriamo servizi anche per autori che non hanno mai lavorato prima con noi.

L’agenzia letteraria organizza eventi, firmacopie, presentazioni presso grandi fiere dell’editoria, in tutta Italia, festival di letteratura. Collabora anche con associazioni culturali e luoghi di cultura, dove è possibile vendere direttamente i libri. Abbiamo una risorsa che collabora con scuole e università, oltre che con blog, uffici stampa e testate giornalistiche radio, tv, online, carta stampata. Insomma, la promozione è a tutto tondo.

Se cerchi ulteriori informazioni, buona navigazione sul mio sito web e sul mio blog!

Quanti autori ho conosciuto, in quasi 15 anni di onorato servizio in Editoria, che si perdevano nei meandri delle belle parole, nelle proprie incertezze. Quanti innamorati dei dettagli, che però perdevano di vista l’obiettivo di chiudere il manoscritto per tempo, così da consentire all’editore di farlo uscire per questa o quell’altra fiera di settore.

Tanti, troppi, oserei dire.

Uno degli errori che più fanno gli autori in erba – certe volte capita anche ai professionisti più narcisisti – è proprio quello di innamorarsi delle proprie parole, dei dettagli, persino delle virgole che hanno messo su carta. Passano ore e ore a rileggere i paragrafi o i capitoli precedenti. E altrettante ore le perdono a riscrivere quanto già è messo nero su bianco, invece di procedere e arrivare a “mettere la parola fine”.

Questo succede persino quando il manoscritto è finito, l’editore ha eseguito l’editing (a fatica, con dure lotte tra editor e autore), e quando il file è impaginato dai grafici. Tantissime volte, infatti, ho visto impaginati consegnati all’autore per la consueta verifica delle bozze tornare indietro alla redazione con interi brani stravolti, riscritti, rielaborati. Dicendo peraltro la stessa cosa, ma in modo diverso, “più bello”.

Il che, al di là degli anatemi lanciati dagli editor e dai grafici all’autore, crea non pochi problemi. Di tempo e di denaro, di lungaggini infinite e discussioni malsane. Finché, l’editore si impunta e decide di rimandare l’uscita del romanzo “a data da destinarsi”, oppure rescinde il contratto.
Chi di voi, autori che mi segue, ha mai fatto l’errore di innamorarsi delle proprie parole, così tanto, da cambiarle di continuo? Ebbene, sappiate che non è per nulla proficuo.

Cosa fare, dunque? È bene avere una scaletta in testa o scritta, darsi dei tempi di scrittura, sia giornalieri, sia generali (es. quanto voglio impiegarci per scrivere questo libro?), quindi scrivere TUTTO, dalla prima all’ultima parola, e rileggere soltanto quando si è davvero finito di scrivere. E poi, affidarsi a tecnici, editor o agenti letterari, beta reader amici e professionali, lasciarsi guidare. Così, il romanzo sarà davvero pubblicato e sarà pronto a “lasciare il nido”, la mente e il cuore dello scrittore, per affrontare il mercato. Proprio come ogni bimbo, alla fine, fa: anche l’autore deve prima o poi tagliare il cordone ombelicale col suo manoscritto e lasciare che diventi libro e si confronti col pubblico, per tornare indietro sotto forma di acquisti e recensioni, come esperienza acquisita. Fino alla prossima idea da mettere su carta.

Buona scrittura!

Leggere non è essenziale alla salute. Alla salute mentale e psichica senz’altro, ma non a quella corporea, così sotto pressione.
Quindi, chiuse le librerie, fiere editoriali internazionali rinviate a data da destinarsi, Amazon che spedisce beni di prima necessità e lascia i libri in magazzino.
Il che si traduce in aziende che richiedono la cassa integrazione, in un 25% in meno di novità prodotte sul mercato 2020, con conseguente minor incasso per la filiera del libro tutta (editor e agenti letterari, uffici stampa, librerie di catena e indipendenti, tipografie, grafici, social media manager, illustratori, traduttori…).
Qualcosa di buono, in questo scenario apocalittico, voglio trovarlo. Intanto, le consegne a domicilio sono consentite, sia per food, sia per i libri. Agli italiani a casa gli editori e i librai stanno spedendo direttamente i volumi che richiedono: abbiamo una connessione, sfruttiamola anche per scaricare eBook, oppure per ordinare dai siti web delle librerie e degli editori.
Si moltiplicano le iniziative di lettura online, da parte di gruppi social attivi.
Nel marasma dell’eccesso di produzione (60mila nuovi titoli all’anno sono una follia!), un taglio alle novità in uscita può soltanto fare bene, in un sistema di distribuzione e resi al collasso, questo stop forzato ci voleva.
Mai come oggi ho visto solidarietà tra colleghi, tra associazioni di settore. Queste ultime, non me ne vogliano, finalmente stanno sollevando un polverone, nell’ambito editoriale, perché la categoria venga ascoltata e sostenuta dal Governo.
Molti cadranno, altri soffriranno, altri ne usciranno vincitori. La differenza la farà, come sempre la Storia insegna, chi sa incassare bene e mantiene fisso il proposito: fornire al pubblico libri con un motivo di essere, con uno scopo, tornare a fare Cultura con la C maiuscola, perché torni a essere essenziale e di prima necessità, soprattutto quando le persone sono spaesate. Un libro può donare sicurezza e rasserenare, e di questo ce n’è sempre tanto bisogno.
Buona lettura (da casa) a tutti!

Molti autori spesso mi contattano con un sogno: vogliono “vivere” di scrittura. Ovvero, guadagnare, attraverso quel che scrivono, abbastanza tanto da pagare i conti, le bollette, il mutuo…

Ebbene, conosco vari professionisti che, tra alti e bassi, gioie e dolori, vivono oggi di scrittura. Scrivono anche libri, senz’altro, ma più spesso sono specializzati in scrittura tecnica (giornalisti, recensori, critici, sceneggiatori).

Per questo, oggi lascio la parola al mio amico e collega di penna Jack B. Roland (pseudonimo di Giacomo Berdini), che scrive e lavora per tv e cinema.

Ciao Giacomo, parlaci un po’ di te…

Innanzitutto, grazie per avermi coinvolto. Ho quasi 35 anni, vivo a Milano e ho due gatti. Da circa dieci anni, lavoro come autore e sceneggiatore per televisione, commercials e cinema. Tra i lavori più importanti ci sono Serie Tv internazionali prodotte da Disney e DeAgostini, per cui ho scritto e spesso seguito sul set la lavorazione di progetti come “Alex & Co.”, “Penny on Mars”, “New School”. Nell’ultimo anno, ho messo in cantiere una serie Fantasy sviluppata per Cross Production, ma è ancora presto per parlarne… al momento, incrociamo tutti le dita nella speranza che si parta al più presto con la scrittura.

Come sei entrato nel mondo della sceneggiatura?

Direi con tanta passione, impegno e un po’ di fortuna. La realtà è che non lo so con precisione; scrivo da quando sono piccolo. Il primo romanzo è capitato quasi per caso, a 16 anni. Poi, dopo la laurea in Storia, ho iniziato come giornalista, ma ho capito subito che non era la mia strada. Mi sono licenziato dalla testata in cui lavoravo e ho vinto una borsa di studio per studiare Sceneggiatura a Roma. Mentre ancora frequentavo i corsi, ho ottenuto un primo ingaggio a Milano, come stagista in un canale Sky. Da lì, tra alti e bassi, ho lavorato a tutto quello che mi è capitato a tiro. Poi, nel 2014, il film “Solo per il Weekend”, nato dalla tenacia mia e, soprattutto, del regista (Gianfranco Gaioni) ha aperto un po’ di porte, ma è comunque un ambiente in cui bisogna sempre dare il meglio e cercare di farsi notare, mantenere buoni contatti con le persone con cui lavori bene. A volte, i progetti hanno successo e le collaborazioni proseguono per anni, altre ci si perde per strada o si fanno dei fiaschi. L’importante è rialzarsi sempre e rimettersi in gioco.

Comunque, giusto per sfatare miti, non avevo conoscenze importanti, né parenti d’arte, né ho mai avuto raccomandazioni.

Hai qualche aneddoto, tipico del tuo campo, che vuoi raccontarci?

Aneddoti che definirei “tipici” no. È un ambiente che può sembrare fatto di magia e lustrini da fuori, ma non è così, una volta che si è dentro. Spesso c’è molta tensione, fatica, incertezza, frustrazione, ma non lo cambierei per nulla al mondo. Per me è il mestiere più bello, proprio perché io ho sempre scritto e avrei scritto comunque, in ogni caso, in un modo o nell’altro.

Cosa consigli a chi vuole intraprendere il tuo mestiere?

Non improvvisatevi. Studiate. Imparate i metodi e la struttura. Scrivete tanto, ma leggete di più. “Vivisezionate” i film che amate, perché la sceneggiatura ha una componente di architettura e di equilibrio che definirei più tecnica che artistica. Se non volete credere a me leggete “Save the Cat”.

Comunque, il consiglio più importante che darei è: non affezionatevi alle vostre idee. Siate pronti a buttare via tutto e ricominciare da capo, imparate a lavorare con gli altri, perché la vera creatività si trova nella sinergia della writers’ room, assieme ad altri autori.

Lo sceneggiatore non è un intellettuale solitario che sta sveglio la notte davanti al pc a macinare parole su parole. Si lavora in team. Prima di affrontare la pagina bianca, è importante avere un progetto chiaro e solido di quello che si deve scrivere, un percorso da seguire. L’ideazione è più importante della scrittura in sé. Perciò, non abbiate fretta di “buttare giù”; scrivere una buona sceneggiatura è come costruire una casa. Ogni parola è un mattone e, senza un progetto che funzioni… vi assicuro che la casa crolla.

 

Quindi, studiate, scrivete e riscrivete, e confrontatevi con chi ne sa più di voi. Così, la scrittura potrà diventare un giorno il vostro lavoro. Alla prossima!

Oggi, voglio dedicarmi a un concetto tecnico, di stile e lingua italiana: Paratassi vs. Ipotassi.

Quando un testo è scritto con frasi brevi, intervallate da molti punti di sospensione, ovvero da frasi coordinate, si dice paratattico.

La paratassi (dal greco, “accanto” e “disposizione”, disporre accanto) è tipica della lingua parlata, immediata, e di una lingua “semplice”, se vogliamo, con costrutti veloci. Ad esempio, la lingua inglese è di frequente una lingua “paratattica”, ricca di coordinate e frasi brevi. Nel parlato, per non perdere il filo del discorso, è più efficace usare la paratassi, mettendo i fatti l’uno dietro all’altro, spesso elidendo i legami logici tra un fatto e il successivo. A dare significato, aiutano poi anche altri elementi del linguaggio (il paraverbale, ad esempio). Per questo, quando un parlato viene trascritto, suona “strano”, è ridondante ed è pieno di sospesi, mente quando la persona parla dal vivo, è molto più chiara. Di paraverbale e non-verbale parleremo in un articolo successivo.

Quando si parla di ipotassi (dal greco, “sotto” e “disposizione”, disporre sotto), si fa riferimento a un testo complesso, pensato e ricco di subordinate, che chiarisce i rapporti di causa-effetto tra le frasi, ed è quindi tipico della lingua scritta. L’italiano, ad esempio, usa in media uno stile paratattico, che fa del nostro uno degli idiomi più belli, musicali e apprezzati al mondo. Di certo, per uno straniero, il modo di scrivere ipotattico non è semplice da acquisire, tanto che persino la forma mentis di chi impara la nostra lingua dovrà per forza cambiare, ampliarsi, in un certo modo.

Oggi, anche l’italiano sta subendo una forma di semplificazione, che per qualcuno può anche essere svilente. Io la reputo, invece, funzionale. Stiamo assistendo alla nascita di un linguaggio breve, veloce, pieno di ellissi e presupposizioni, allusioni e sottintesi, abbreviazioni. È la comunicazione nell’era dei social network. Attenzione che i messaggi brevi, essendo così sottintesi, non sono per nulla neutrali: se si pensa a quanti litigi e scontri nascono attraverso i social network, dove mancano elementi fondamentali di comunicazione (non-verbale, paraverbale su tutti!), è ovvio che il linguaggio si sta modificando, ma spesso in una direzione del tutto casuale. E non priva di conflitti.

Consiglio quindi a chi vuole scrivere un testo, dapprima di soffermarsi sul target a cui quel testo è rivolto, quindi a riflettere sul mezzo usato per diffonderlo. Una conversazione in chat è sì immediata, ma ha anche valore legale. Direi che è il caso di riflettere prima di parlare, come dicevano i nostri nonni e, oggi, ancora di più, è il caso di riflettere prima di… premere invio!

Alla prossima.

La maggior parte degli autori che mi contattano hanno alte (altissime) aspettative. 90 su 100 persone che hanno scritto un libro pensano che questo sia il futuro bestseller internazionale, e che loro diventeranno presto “famosi” e “ricchi”.

Poi, si scontrano con la dura realtà: mesi a cercare un editore, se non anni, nessuna proposta o solo a pagamento; oppure, quando arriva la pubblicazione gratuita, il libro in libreria non si trova, e alla fine il rendiconto è misero (ho visto venduti anche di marchi editoriali noti pari a 7 – sette – copie in un anno).

L’autore, allora, o pensa di essere incompreso e che editori e agenti letterari siano in errore (ho sentito dire molto peggio, della nostra categoria…), oppure pensa di non valere nulla e si chiude nella sua depressione, lasciando il romanzo nel cassetto.

Per fortuna, 10 persone su 100 che seguo hanno il coraggio, la voglia e la necessità di capire davvero, di informarsi, di imparare. Ed è su loro che, come agente ed editore, io punto.

In ogni caso, quando la storia che abbiamo in mente vale la pena, ovvero può interessare un pubblico più o meno ampio (che, quantomeno, esca dalla propria cerchia di amici e famigliari)? Quando vale la pena, per un editore o un agente letterario, investire tempo e denaro sopra un manoscritto, per di più di un autore emergente?

Un buon romanzo o racconto, una buona storia descrivono un aneddoto, un piccolo spicchio di realtà, e la rendono “significativa” e seducente: il non detto, la relazione tra i personaggi, lo stile narrativo, il lessico scelto con cura, i punti di svolta, l’intreccio, il ritmo, i dialoghi, saper sedurre attraverso le parole, far sembrare semplice l’uso di tecniche di scrittura molto complesse… avere uno scopo. Ecco, un buon libro, a mio avviso, è tutto questo e forse, soprattutto il suo valore è nello scopo che si prefigge. Perché scrivi, cosa vuoi comunicare? E per chi scrivi? Queste domande sono fondamentali in fase di progettazione di un racconto, e in fase di scrittura.

Se sai scrivere e hai esperienza narrativa (o saggistica), ma non hai un perché, ti sconsiglio di pubblicare, fermati. Se, invece, sai a chi rivolgerti, hai un perché e possiedi anche la tecnica, e pensi che la tua idea possa essere arricchita di significato, allora… buona pubblicazione!

L’agenzia letteraria, insieme alla Vigamus Academy, sta tenendo corsi di editoria e scrittura, sia per chi vuole un’infarinatura del settore, sia per chi, invece, vuole approfondire a livello professionale alcuni aspetti del nostro mondo.
Oggi, voglio presentare in un’intervista un collega e amico, autore e giornalista, Massimo Colonna, che si occuperà di un corso di scrittura creativa che trae spunto dalla matematica, o meglio, dalla geometria. E, quando un romanzo è scritto seguendo il suo schema, funziona!

Buongiorno Massimo, parlaci un po’ di te. Come sei arrivato al mondo dell’editoria, di cosa ti occupi?

Di professione sono un giornalista, da oltre dieci anni mi occupo di cronaca per diverse testate. Da tempo scrivo anche racconti a sfondo psicologico e, negli ultimi anni, ho cercato di approfondire in particolare i metodi di scrittura. Nel novembre del 2017 la casa editrice Letteratura Alternativa, di Torino, ha pubblicato il mio racconto lungo intitolato “Il sogno finisce all’improvviso”. Un testo che ha una struttura complessa e non tradizionale. Il libro per due anni è finito al Salone del Libro di Torino e nel 2018 è stato anche selezionato per la Fiera Internazionale del Libro di Francoforte. A quel punto, ho avuto l’idea di sviluppare un corso di scrittura basato proprio sullo schema utilizzato nel mio libro. Da due anni tengo un corso in una accademia in Umbria, proprio per proporre questo nuovo modello, che ho chiamato Metodo Sierpinski.

Quando è nato e come il tuo metodo di scrittura?

Il Metodo Sierpinski nasce ufficialmente un paio di anni fa, anche se gli studi che mi hanno permesso di concretizzarlo vanno avanti da diverso tempo. L’idea di fondo è quella di condensare principi di geometria e psicologia, applicandoli alla costruzione di una struttura narrativa efficace. Questo metodo infatti utilizza i frattali geometrici per costruire una narrazione che possa raccontare storie anche complesse per forma e contenuto ma che, proprio per questo, aderiscono alla personale rappresentazione quotidiana della nostra realtà, altrettanto complessa. I frattali, come noto, sono forme geometriche che ripetono una parte di sé potenzialmente all’infinito, arrivando a una figura simile, ma non uguale, all’originale (il più famoso è il triangolo di Sierpinski, anche se i frattali esistono anche in natura: si pensi all’immagine di una costa frastagliata, a un albero, alla forma del guscio di una lumaca, alla costellazione della Via Lattea). Questa costruzione porta a due letture: una particolare, ossia focalizzata sulla ripetizione di alcuni elementi, l’altra complessiva, estesa, di visione più ampia. Una storia raccontata con il metodo Sierpinski si basa quindi su due processi mentali (presentati in particolare nelle opere dello psicologo Christopher Bollas): quello della condensazione e quello della libera associazione. Questo tipo di narrazione si pone su diversi livelli di lettura, alcuni più superficiali, altri più profondi, proprio come ognuno di noi rappresenta a se stesso la propria realtà, la propria giornata (lettura particolare) o la sua stessa vita (lettura estesa). Dunque, il nostro cervello è già predisposto a procedere nella direzione dei multilivelli di lettura e della complessità delle situazioni.

Quali vantaggi può avere uno scrittore, emergente o anche professionista, nel seguire il tuo corso?

Il Metodo Sierpinski permette di strutturare un racconto anche molto complesso in modo efficace. Del resto, un racconto complesso è aderente alla realtà che viviamo ogni giorno e la rappresentazione che facciamo di essa. Realtà complessa, racconto complesso, struttura narrativa complessa. Durante il giorno, viviamo centinaia di esperienze intense, così che la nostra esperienza quotidiana diventa una sequenza senza fine di frammentazioni e libere associazioni. Esiste dunque un parallelismo tra la complessità (iper)narrativa di una storia e la complessità (iper)realista della vita, e della percezione della vita. Pensate a quante situazioni, storie, domande, risposte, frasi non concluse o scene sospese si intrecciano nelle nostre menti durante un solo giorno. In definitiva, una storia raccontata con il Metodo Sierpinski è la rappresentazione (condensata o espansa) della nostra stessa vita.

Raccontaci dei tuo progetti futuri.

Sto lavorando a un romanzo basato ancora, e in maniera più forzata, su questa struttura narrativa. Il tema sarà psicologico e unirà il reale al surreale, con toni molto introspettivi. I temi affrontati saranno quelli della multidimensionalità, della stratificazione delle esperienze di vita e della parte nera di ognuno di noi. In tutto questo quadro, uno degli obiettivi della scrittura deve essere quello di aprire nuovi varchi di interpretazione attraverso il surreale. E il nuovo lavoro va proprio in questa direzione.

Per chi fosse interessato a conoscere da vicino il Metodo Sierpinski, e migliorare così la propria tecnica di scrittura, consiglio di iscriversi subito, per approfittare degli ultimi giorni di sconto! Qui, il link: https://www.vigamusacademy.com/corso-di-scrittura-il-metodo-sierpinski/

Come agente letteraria e anche come autrice, mi piace girare nei luoghi importanti, che hanno significato qualcosa per la letteratura e la cultura. Ho la fortuna di vivere a Roma, dove ogni angolo fornisce delle sorprese. Stavolta, il giro lo facciamo tra le tombe, insieme a insoliti ospiti felini…

Il cimitero degli artisti e dei poeti, e di grandi letterati. Qui, all’ombra della Piramide Cestia, sono sepolti alcuni eminenti intellettuali, tra cui John Keats, il cui nome, secondo il suo epitaffio, “fu scritto sull’acqua”, e Percy Shelley, uno dei più grandi poeti romantici, sposato con Mary Wollstonecraft Godwin, meglio nota come Mary Shelley, autrice di Frankenstein.

Sono molti gli scrittori che riposano qui, alcuni si erano addirittura trasferiti a Roma, da sempre fonte di ispirazione per opere letterarie importanti.

Il Cimitero protestante o acattolico, così è conosciuto ai romani, ha avuto origine nel Settecento, quando la legislazione ecclesiastica dello Stato pontificio vietava la sepoltura in terra benedetta ai cittadini di religione non cattolica. Prima, la zona di sepoltura era a Muro Torto, a Roma Nord, poi fu usata la terra sconsacrata lungo le mura aureliane. Il cimitero fu recintato dell’Ottocento da famiglie protestanti, dopo i continui atti vandalici sulle tombe, e ampliato con un’ala nuova, oggi ben più ricca di sepolcri di quella antica.

Altre interessanti tombe sono di autori nostrani, come quella di Carlo Emilio Gadda, “signore della prosa dalle forti passioni morali e civili”, e l’urna contenente le ceneri di Antonio Gramsci, la cui semplicità ha incantato Pasolini: “Stupenda e misera città, che m’hai insegnato ciò che, allegri e feroci, gli uomini imparano bambini” (Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci).

Chi passeggia tra le tombe rimarrà affascinato dalla magnificenza di alcuni fregi: tempietti, mosaici e sculture, tra cui la bellissima statua “Angelo del dolore”, essere divino che abbraccia, dolente, la tomba del suo creatore, lo scultore americano W. Story.

In questo luogo, si respira rispetto per i defunti, spesso morti giovani come il figlio di Goethe, a partire dalla cura con cui sono custodite le tombe, i roseti e le piccole piante spontanee che crescono al riparo del caos cittadino: il tarassaco e il melograno su tutti. Tra i cespugli, poi, camminano silenziosi alcuni gatti, fieri custodi di coloro che, per sempre, dimoreranno nella Città Eterna.

Ti è mai capitato di scaricare un bando per un concorso letterario? Hai visto il sito web di un editore e hai trovato la famigerata parola “cartella”, intesa come lunghezza massima o minima di manoscritto che si può presentare?

Adesso, quindi, ti starai chiedendo: “Quanto è lunga una cartella?”

Una cartella è formata da TRENTA righe ognuna di SESSANTA battute, ovvero 1800 battute totali.

E cos’è una battuta?

Word indica le battute come “caratteri spazi INCLUSI”, ovvero ogni volta che spingi un tasto sulla tastiera, pure fosse di punteggiatura o la barra spaziatrice. Per trovare questa funzione su Word, basta andare sulla barra in alto, blu, e fare click su “Revisione”. Scegliere quindi, all’estrema destra, “Conteggio parole”; appare così una piccola finestrella al centro del documento, proprio davanti ai tuoi occhi. Indica le “Parole” totali di cui è composto il manoscritto (eh sì, perché alcuni concorsi o “submission” internazionali richiedono il numero di parole minimo e massimo, al posto delle cartelle dattiloscritte). Sempre sulla stessa finestrella, leggendo i dati del tuo documento Word, trovi finalmente i caratteri spazi inclusi, ovvero le battute totali di cui è composto il manoscritto. Dividendo questo totale per 1800 (ovvero una cartella), ottieni le cartelle totali. È facile ora capire se hai ecceduto, dando libero sfogo alla tua scrittura, oppure se sei andato sotto il minimo richiesto.

In ambo i casi, non perderti d’animo! È sempre possibile ridurre o ampliare la propria opera: non ci sono testi che non si possano riassumere, in alcuni passaggi, oppure che non si possano riscrivere in modo migliore e più fluido o, ancora, che non si possano allungare, per ottenere la lunghezza desiderata. In alcuni mestieri, ad esempio nel giornalismo, la capacità di sintesi oppure di usare termini “lunghi” quali ad esempio gli avverbi, o anche fare giri e “controgiri” di parole per allungare è indice di buona abilità tecnica di scrittura. Anche perché se un articolo di un giornalista che arriva in redazione è troppo lungo, viene tagliato dal collega editor, perché la pagina di giornale ha quello spazio ben definito. E se invece l’articolo è troppo corto, sempre l’editor aggiunge parole “vuote” di contenuto per allungarlo.

È bene, e ogni buon giornalista e professionista della scrittura lo sa, saper rispettare i vincoli di lunghezza (minima e massima), così che sempre meno persone mettano mano al tuo testo, che rispecchierà la tua volontà di comunicare al meglio i tuoi pensieri, emozioni e sensazioni. Buon calcolo di battute, lunghezze e cartelle e, come sempre, buona scrittura!